Caritas Benevento, dossier 2013/2014 del Centro di Ascolto. Ecco chi sono i nuovi poveri nel Sannio

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Poveri Poveri

Uno studio della Caritas di Benevento relativo al biennio 2013/14 rivela ed analizza il concetto di povertà nonché le cause che conducono a condizioni di estrema indigenza, individualismo e consumismo su tutte.

La Caritas di Benevento ha raccolto in un dossier l'attività del Centro di Ascolto diocesano e dei CdA parrocchiali, fornendo uno spaccato sulla situazione della povertà e dei bisogni all'interno del territorio sannita.

Tale parola infatti, è stata studiata nella sua accezione più ampia rispetto a quanto di solito si apprende dai canali istituzionali, senza ridurre, cioè, la povertà esclusivamente ai due concetti puramente economici di povertà assoluta e relativa. Inevitabilmente, il discorso si è allargato aprendosi anche al fenomeno delle nuove povertà, inteso nel senso di “ingresso” in una condizione di povertà.

Nel concetto di nuove povertà, la Caritas di Benevento, inserisce anche anche quelle relazionali. “I nuovi poveri – spiegano – sono anche coloro che vivono l’abbandono da parte della propria rete parentale e necessitano di un supporto non tanto materiale, quanto psicologico, che trovano in soggetti o enti esterni”.

Per descrivere in maniera più esaustiva il fenomeno della povertà nel territorio sannita, la Caritas ha inserito, “oltre al dato relativo alle nuove utenze nel biennio in esame (rispettivamente 279 e 462), anche quello riguardante il numero dei ‘ritorni’ agli sportelli di Ascolto, sia da parte dei vecchi utenti, già censiti negli anni passati, sia dei nuovi, variabile, questa, che ci chiarisce meglio il quadro dei nostri interventi. La tendenza che si legge, dopo il picco di presenze del 2012, ci indica una stabilizzazione delle stesse su valori comunque elevati, oltre 1000”.

A questo dato va aggiunto quello relativo agli utenti che usufruiscono della mensa Caritas. “Il dato interessante riguarda i pasti da asporto che nel 2014 hanno avuto un picco, sintomo di quel pudore di molti ‘nuovi poveri’ che li porta a preferire di consumare i pasti nelle proprie case”.

Chi sono i nuovi poveri? Che fascia di età hanno? Hanno un lavoro? Secondo i dati raccolti nel dossier ci sarebbe una sostanziale parità dei sessi. Un dato questo in controtendenza rispetto allo standard regionale che “invece, vede sempre le donne tra gli utenti con la maggiore propensione a farsi portavoce dei bisogni del proprio nucleo familiare”.

“La presenza di alte percentuali di coniugati presso gli sportelli del CdA risulta essere una costante negli anni. La riduzione di circa 10 punti percentuali nel 2014 rispetto all’anno precedente, non ci conforta sullo stato della famiglia perché vede, di contro, una maggiore presenza di separati e, soprattutto, di divorziati (in crescita costante e progressiva), evidentemente sempre più emarginati socialmente e sempre più abbandonati anche dalla propria rete parentale”.

“Le maggiori presenze sono relative alla classe d’età degli adulti tra i 35 ed i 54 anni, tutti in età lavorativa, dunque. In particolare degno di nota risulta essere il dato relativo agli ultra 50enni che si rivolgono al CdA (magari in cerca di lavoro, perso in seguito alla recente chiusura di molte aziende del territorio) ed in cerca di aiuti economici se non alimentari. Queste persone – si legge nel dossier – riempiono le file dei disoccupati adulti, quelli di cui le istituzioni ed i mass media tacciono, perché la loro condizione è, forse, ancora più complessa di quella dei giovani disoccupati: se a questi ultimi viene negato il futuro, agli adulti, che un futuro lo avevano creato, non viene data alcuna possibilità di reinserimento nel mercato del lavoro, condannati dall’età anagrafica e magari da un livello di formazione non adeguato alle ultime richieste del mercato. Sta di fatto che ad un passo dalla pensione che avrebbe assicurato loro una vecchiaia dignitosa, queste persone si ritrovano a chiedere il minimo di risorse necessarie a garantire la sussistenza a sé ed al proprio nucleo”.

Tra le persone che si avvicinano a chiedere aiuto, il grado di istruzione che prevale è il conseguimento della licenza media. “Ciò accade in una società che richiede sempre più alta formazione, elevati titoli di studio, massimi livelli sulle competenze di base,elementi che se assenti azzerano la possibilità di integrarsi nel mondo del lavoro”. Sul piano lavorativo invece, “le percentuali di coloro che riferiscono di essere disoccupati continuano ad essere le più alte, con un aumento, rispetto agli scorsi anni, di coloro che riferiscono di svolgere lavori irregolari. Seppure il lavoro nero ha sempre rappresentato una piaga del Sud, evidentemente, non più come in passato, esso rappresenta una fonte di guadagno alternativo: la presenza di percentuali in aumento di lavoratori a nero nel CdA, spiegano, infatti, una crisi diffusa anche in questo settore che ha sempre agito da ‘paracadute’ e da ammortizzatore sociale”.

Quali sono i bisogni? “L’esperienza sul campo ci ha insegnato ad ascoltare la persona anche in ciò che va oltre la mera richiesta di tipo materiale: non sempre, infatti, le richieste espresse coincidono con il bisogno reale, ma a volte nascondono esigenze più profonde di cui spesso si è inconsapevoli. Oltre, infatti, alle alte percentuali di problematiche riferite al lavoro ed alla povertà, aumenta il numero di coloro che parla di problemi familiari (e non solo di coppia), segno di apertura e di nascita di empatia con l’operatore che prende in carico”.

Quali sono le richieste? “In genere, le une hanno come conseguenza le altre, ma non sempre. La prima richiesta, che spesso sottende ad altro, è sempre quella di tipo materiale, ma la capacità dell’operatore di entrare in empatia con l’utente, mediante un ascolto più approfondito, fa emergere un bisogno sottaciuto o nascosto di essere ascoltati, in una società che dimentica chi è già emarginato”.

Per quanto riguarda invece gli immigrati, L’Ufficio Immigrazione della Caritas diocesana opera, in maniera strutturata, dal 2013, anno in cui ha aderito alla piattaforma Ospoweb per l’inserimento e l’elaborazione dei dati dell’ascolto. Gli ambiti di azione spaziano dalla prima accoglienza, ai contributi economici, all’orientamento al lavoro, alla consulenza legale. Il maggior numero di utenti stranieri proviene dalla Romania e dal Marocco.La presenza femminile è prevalente in entrambi gli anni in esame a motivo della maggiore richiesta di lavori di cura e collaborazione domestica.

La maggioranza risulta coniugata a conferma della propensione dei migranti ad insediarsi nel nostro territorio stabilmente. Quella presente sul territorio, è una popolazione relativamente giovane, dunque in età lavorativa. Circa il 75 % è disoccupato (in entrambi gli anni), problema acuito dall’attuale crisi economica. I problemi occupazionali ed economici tra gli immigrati sono quelli maggiori anche se a ciò seguono a ruota anche i problemi abitativi, ma “aumentano anche le richieste relative all’orientamento al lavoro o alla ricerca di una casa (2014) oltre che dei beni e servizi materiali”.

Nel 2013 la Caritas Diocesana di Benevento ha dato avvio anche allo Sportello Ascolto Donna dedicato a “Felicia Bartolotta Impastato” madre del giovane giornalista Peppino Impastato, ucciso dalla mafia nel 1978.

In un anno di attività, lo Sportello ha ricevuto più di 30 segnalazioni, ma “solo 16 sono stati i casi di donne che hanno trovato la forza per intraprendere e proseguire un percorso di ‘superamento’ del proprio vissuto di violenza. Si tratta di persone di età diverse, provenienti da ceti socio-economici e culturali differenti. La maggioranza risulta essere coniugata, a testimonianza del fatto che la violenza sulle donne si consuma molto spesso nelle case, all’interno delle famiglie”.

Come funziona lo sportello? “Dopo un primo ascolto approfondito si passa all’individuazione del tipo di percorso che si vuole intraprendere: consulenza psicologica, consulenza legale. Dall’analisi delle storie raccontate – spiega la Caritas – emerge l’assenza di una rete sociale ed istituzionale che sappia accogliere il disagio e trovare soluzioni rapide che offrano garanzie, protezione e sostegno. Queste mancanze rendono il percorso di denuncia molto sofferto e complesso quando si ha, da parte della donna, la volontà di continuarlo; non sempre ciò avviene, spesso affiora la paura di ritorsioni da parte del marito o del compagno accusato, il timore di dover sostenere un processo in cui ogni ambito privato della propria vita deve essere messo a nudo, non ultimo il senso di colpa che subentra, magari, in chi è credente ed arriva per questo a ritirare la denuncia ed a rinunciare al proprio diritto a vivere una vita serena”.

Dai CdA parrocchiali di S.Modesto, S.Anna, S.Maria della Verità in città e Montefalcione in provincia, i dati rivelano, su piccola scala, le stesse problematiche evidenziate a livello diocesano, “ maggioranza di coniugati, bisogni espressi riguardanti lavoro e povertà, maggioranza di interventi orientati ai beni e servizi materiali, ma anche all’ascolto, che diventa variabile sempre più importante nelle prese in carico”.

“La società moderna – conclude il dossier – ci ha abituati al consumismo sfrenato, che non conosce differenze di classe, all’individualismo più estremo, al desiderio di apparire più che di essere, tutto ciò ci ha fatto perdere il contatto con le nostre radici, i nostri valori, e ciò ha condotto alla dissoluzione dei legami sociali, all’indifferenza nei confronti di chi è povero, all’ostilità verso lo straniero. Il loro recupero servirebbe a rigenerare tutta la società e la politica che tornerebbero a servizio dei valori, cioè alla realtà pura e semplice delle cose. Per far questo è necessario riscoprire la solidarietà vissuta come determinazione caparbia a distruggere le strutture di peccato per il bene comune che è il bene di tutti e di cui tutti siamo egualmente responsabili”. 



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