Franco Arminio: "Riverberi e la sua musica possono accompagnare il cambiamento"

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Si sono raccontati a “IlQuaderno”, Maria Pia De Vito e Franco Arminio, i due artisti ospiti ieri della terza serata di Riverberi, il festival ideato da Luca Aquino, ed esibitisi nel ‘Chiostro di Santa Sofia’.

Franco Arminio è per auto definizione un ‘paesologo’ concezione difficile da svelare e che racconterà lui stesso più avanti. In realtà è un poeta, uno scrittore ed anche regista. Ieri sera ha recitato un brano indedito, ‘ospitalità’ accompagnato da Pasquale Pedicini e Sergio Casale. Arminio è il fautore di un’arte che resiste anche cambiamenti paesaggistici.

“Provo a raccontare quello che accade nei paesi, ma dietro c’è un idea di fondo. I luoghi non sono fissi ed i paesi cambiano e quindi la paesologia segue questo cambiamento. Io – continua – sono affascinato dal capire che cosa accadrà a queste particolarissime creature, uno diverso dall’altro. Il paesologo è un po’ un voyeur, uno che va a spiare la vita di questi luoghi”.

A Riverberi, il poeta irpino (è nato a Bisaccia nel 1960), ha interpretato il brano inedito ‘ospitalità’, un tema che oggi pur toccandoci da vicino ci confonde fino a perdere di vista l’ospite. “Noi siamo tutti ospiti, in qualche modo siamo stranieri, extracomunitari anche nel nostro corpo – mette subito in chiaro Arminio – che noi non conosciamo, non viviamo, perchè non dipende da noi. Siamo tutti ospiti di un corpo più grande che è la terra, un’avventura da vivere con pietas e clemenza. Forse un po’ leopardianamente – continua – dovremmo tutti affratellarci perché fragili, storditi, impauriti e costruire una cooperativa delle fragilità, una federazione delle ferite per sentirci meno soli”.

Musica e recitazione, un connubio “d’integrazione”. Un percorso che tenta di tradurre il semplice, ma complesso, spostamento di masse o che tende ad includere dentro di se le forme più varie della cultura. “Io penso che i paesi potrebbero essere un’ottima occasione per accogliere"  – spiega – "c’è un grande patrimonio di case vuote ed i paesi dell’Appennino si trasformano giorno dopo giorno, sempre più, in un gigantesco museo delle porte chiuse. Servirebbe un innesto di sangue fresco, di nuovi desideri”.

Arminio è uno che nella vita non si è mai tirato indietro, tante le battaglie sociali e l’impegno anche politico. “Ho combattuto delle lotte che ritenevo vitali per questi piccoli luoghi dimenticati, abbiamo il dovere di preservarli questi paesi. Il sogno è che quest’area dell’Appennino torni a vivere. Il margine è più vivo del centro e l’Italia si salva se torna alle sue montagne, ai suoi paesi. Sogno che il Sannio e l’Irpinia diventino terra d’avanguardia: piccolo paese grande vita”.


 

Immaginiamo allora Riverberi come un piccolo paese immerso in un mondo che va da se. “Ti confesso – dice Arminio – che questo è un festival molto bello, poi io amo molto la musica, anzi credo sia un potente ri-attivatore della vita comunitaria. In particolare l’attenzione che si da alla musica d’avanguardia alla sperimentazione. Potremmo partire proprio dalla musica – conclude – per costruire la sagra del futuro, guardare avanti senza indugiare, e questo festival può accompagnare il cambiamento”. 

Michele Palmieri



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