Guardia Sanframondi. I Riti tra tradizione, religiosita' e senso comune

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Una donna in processione di penitenzaUna donna in processione di penitenza

Quello che viene vissuto nel borgo medievale sembra essere il più grande rito di penitenza dell'occidente. Domenica l'uscita dei battenti in vista della processione generale.

 

L’intento dei Riti Settennali di Guardia Sanframondi non è certamente quello di ‘stupire’ chi, per un motivo o per l’altro, raggiunge il Sannio per assistere ad un evento che si protrae nei secoli. Anzi. Il compito di chi scrive e racconta è quello semplicemente di ‘veicolare’ i tanti messaggi e le tante ‘suggestioni’, anche complicate, che emergono dalle viscere della storia, della tradizione, dal senso religioso dei guardiesi.

Credo sia troppo semplicistico comprimere il tutto sotto l'aspetto dell'anacronismo o bollare come semplice "barbarie" quello che appare come un grande rito collettivo, culturale e sociale. Ad esempio, da uomo di sinistra, anche Gramsci si trovò ad affrontare il tema del ‘senso comune’ e studiò e analizzò i fenomeni culturali. Anzi, la visione di gramsciana aprì addirittura uno spaccato nella demologia e dunque nello studio delle manifestazioni popolari. Per Gramsci il "folclore" è "una concezione del mondo e della vita", è popolo, non "una cosa ridicola”.

Viene dunque spontaneo chiedersi perché per Guardia non sia possibile parlare di "fenomeno". D’altronde, lui stesso, riconosce l'esistenza di una "morale popolare" intrisa di pratiche religiose. Secondo lo studioso sardo, solo dando valore a tali fenomeni sarà possibile incidere sulla nascita di una “cultura nuova”, anche tra le masse, eliminando il distacco forte che esiste tra quella degli intellettuali e quella dei popolani. La stessa religione, nei “Quaderni”, viene da Gramsci legata alla cultura popolare e al senso comune e dunque, ad una sorta di “adesione totale” o “obbedienza” ad una concezione del mondo, a dei principi che molto spesso non possono essere dimostrati. È innegabile, che nella cultura popolare vi sia un utilizzo, anche estremo, del corpo soprattutto nei momenti rituali collettivi.

A Guardia Sanframondi però, passa in secondo piano anche la contrapposizione tra cultura egemone e cultura subalterna. Quello che ci si presenta davanti è la manifestazione di un senso popolare fortissimo, tanto forte da riuscire a rendere ‘sacro’ ogni angolo del borgo, che durante il fascismo viene addirittura vietato. Un rito che fino al dopoguerra non aveva una cadenza precisa: poteva tenersi in casi eccezionali (richieste di aiuto da parte della popolazione alla Vergine), per due anni consecutivi o poi effettuarsi dopo una decade. Un rito che nonostante la ‘secolarizzazione’ è saputo mutare: i cori, infatti, inizialmente erano composti da vergini mentre oggi al loro interno è contemplata anche la figura maschile. È lecito però, per molti, accostare tale fenomeno ad un senso di fanatismo. La domanda dunque è: cosa sono i Riti? “I Riti Settennali – scrive padre Fausto Carlesimo in I Riti guardiesi: tradizione, religiosità, costume – vogliono essere soltanto una spontanea e trasparente manifestazione di fede. Il battente non pecca neppure di misticismo perché una volta chiusi i Riti non penserebbe minimamente a ripetere il suo gesto”.

Le figure al centro dell’attenzione sono quelle dei disciplinanti e dei battenti. Figure che sono coperte dal più stretto anonimato

Quella del ‘disciplinante’ è una figura che trasuda intimità. La stessa che egli tende a mantenere durante il suo percorso di “penitenza”. D'altronde, quante volte teniamo a nascondere i sentimenti? Coprire il volto non significa nascondersi, ma proteggere un rapporto “di fede”. L’anonimato e l’uniformità anche del vestiario potrebbe addirittura essere spiegato nella volontà di superare quelle “divisioni rionali” che invece sono sottolineate nell’arco della settimana. Probabilmente questo atto, questo alone di mistero, serve anche ad alimentare nell'epoca dei social il mito del ‘chi si nasconde dietro il cappuccio?’. La curiosità. Ciò urta, e non poco, con la voracità con la quale consumiamo notizie o consultiamo Wikipedia per appagare in maniera speciosa la sete di conoscenza. O con la paura di non sapere chi abbiamo di fronte. Ma questo aspetto passa in secondo piano. Quella del ‘disciplinante’ e del ‘battente’ è una scelta libera, consapevole, che non trova intermediari. Infatti, non esiste un ‘capo battente’. “Di solito – spiega Vincenzo Di Crosta del Comitato di Rione Piazza – ci si appella a qualcuno di fiducia, capace di non rivelare l’anonimato, per riuscire a reperire il saio, il cappuccio e la spugna che serviranno durante la processione, ma non esiste una struttura definita. C’è da dire che quest’anno è cresciuto in maniera esponenziale anche il numero delle donne”. 

Il giorno dei battenti sarà quello di domenica 27 agosto

A chiudere i Riti (vi partecipano nei giorni precedenti i Rioni Croce, Portella, Fontanella e Piazza), che prendono il via il primo lunedì dopo l’Assunta (15 agosto), ci sono i battenti che chiudono la processione generale e stazionano dietro il “mistero” di San Girolamo penitente. Non prima però di aver ricevuto l’ordine: “Con fede e coraggio, fratelli, in nome dell’Assunta battetevi”. Solo allora inginocchiati e a ritroso, i battenti lasciano il Santuario. Una “spugna”, ovvero un piccolo pezzo di sughero a base circolare sul quale sono sistemati degli spilli, trentatré, le cui punte fuoriescono per circa due millimetri. È questo lo strumento dei battenti che poi durante il tragitto processionale si detergono e disinfettano con del vino bianco. La “spugna”, identica a quella utilizzata dai battenti, la si ritrova anche tra le mani del Bambino che l’Assunta ha tra le braccia. Un rituale che affonda le radici nel medioevo ma sul quale in realtà si ha poca documentazione. Il momento più attesto è probabilmente l’incontro con la Vergine che avviene nei pressi della “Fontana del Popolo”.

Quel sangue che sa di ‘penitenza’ e di ‘riconoscenza’

L’incontro con la Vergine sancisce il punto più alto della rappresentazione. Probabilmente per il ‘guardiese’ il momento più toccante è l’apertura della lastra che viene effettuata il sabato, giorno in cui a sfilare in penitenza è anche il clero. Ad aprire la teca con altrettante chiavi, sono tre le serrature, sono: il decano del Comitato dei Riti settennali, il parroco ed il sindaco. Ecco che la Vergine e la comunità guardiese si abbracciano, ristabiliscono quel contatto che per sette anni è rimasto ‘fermo’. Eppure così non è, perché il primo sabato di ogni mese il popolo è lì, a coltivare quel legame inscindibile con colei che dovrà poi proteggere Guardia dalla siccità, dalla carestia, dalle guerre, dai mali. Potrebbe essere questo, dunque, il senso del battersi anche in maniera copiosa dinanzi alla Vergine. Un simbolo di penitenza intenso e allo stesso tempo simbolo di comunità, di comunità penitente. Certo, per chi magari è lontano dalla fede viene spontaneo chiedersi: è il modo giusto di chiedere perdono? Il pentimento ha un valore così forte per questo popolo?

I Riti di Guardia, un’opportunità slow

Forse, basterebbe provare a rallentare per tornare a riassaporare il gusto delle cose. Basterebbe camminare nel centro storico di Guardia, fermarsi a prendere fiato tra quelle stradine in pietra che si snodano verso il Castello dei Sanframondo per riuscire a capire che la vita ha dei dislivelli. Il cuore una geografia. I Riti sono un fenomeno ‘slow’, autentico, che si reggono sull’autonomia delle scelte dei comitati rionali, sullo slancio popolare. A Guardia in questi giorni si va lentamente, talvolta ci si ferma. Il tempo acquista valore, così come il silenzio. Saranno migliaia coloro che giungeranno a Guardia per vedere i battenti ma, pochi si soffermeranno a guardare il lento salire di altre migliaia di persone alla nicchia che serba l’immagine dell’Assunta. Per giorni, al termine della processione generale, la statua della Vergine rimane poi esposta mentre i fedeli, senza sosta, pregano fino alla chiusura della lastra. 

Il sostare, il riscendere lento senza mai voltargli le spalle. Un segno di affidamento, di rispetto. Pochi nell’epoca della spettacolarizzazione, anche del dolore, delle hit da classifica che saranno dimenticate, si sofferma ad ascoltare i cori che risuonano tra i sopportici ed uno slargo. Il brusio, che fino a quando a non parte la processione di comunione del Rione Fontanella e la processione di penitenza del Rione Piazza fa sottofondo all’andirivieni di persone che cerca affannosamente il posto migliore per scrutare un particolare, o immortalare un ricordo. Il silenzio, rispettoso, nei confronti di chi con sacrificio immobile prova ad immedesimarsi in uno dei personaggi dei “misteri”. A scandire i passaggi, le discipline, il muovere lento delle labbra che sussurrano orazioni, di chi intona litanie, di chi con le dita consuma chilometri sui grani di un Rosario.

Michele Palmieri



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