Libera Benevento, gli studenti del Telesi@ fanno il pacco alla camorra - FOTO

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Pacco Camorra, TelesePacco Camorra, Telese

Mons. Battaglia ai ragazzi: “Affianco alla parola legalità va coniugata un’altra parola: responsabilità”.

Quindici prodotti diversi realizzati da cooperative sociali e associazioni, che gestiscono i beni confiscati, e da imprenditori antiracket. E’ questo il contenuto delle scatole verdi di "Facciamo un pacco alla camorra", un progetto, giunto alla nona edizione, promosso dal Comitato don Peppe Diana, dalla Nuova Cooperazione Organizzata (Nco) e da Libera. Il Coordinamento provinciale di Libera, di cui fa parte l’Azione Cattolica della Diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti, ha presentato questa mattina il progetto del pacco agli studenti dell’Istituto d'Istruzione Superiore “Telesi@” al cinema-teatro Modernissimo di Telese Terme.

Un incontro moderato dai rappresentanti d’Istituto Giuseppe Della Porta, Elia Francesca Pacelli e Franceco Assini La vendita di questi pacchi-regalo è finalizzata a sostenere le attività di “Casa don Diana”, la villa confiscata al clan dei "Casalesi" e, quindi, il continuo riutilizzo sociale di questo bene confiscato, gestito dal Comitato “don Peppe Diana” ed intitolato al sacerdote ucciso dalla camorra nel 1994. Raffaele Carotenuto, membro di una di queste cooperative (“Al di là dei sogni”), nel raccontare la sua esperienza e il percorso che lo ha portato a coltivare questi sogni di legalità e d’inclusione sociale (ricordiamo che le cooperative facenti parte della Nuova Cooperazione Organizzata si occupano dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, abbandonate, invisibili per la nostra società), ha ricordato proprio la figura di don Peppe Diana.

Ma “la memoria – come sottolineava il referente provinciale di “Libera Benevento" Michele Martino – ha senso solo se vengono lanciati e lasciati segni concreti di speranza” (concetto questo ribadito anche dal vescovo della Diocesi mons. Battaglia a conclusione dell’iniziativa). “Cambiare è possibile – ha ripetuto più volte don Mimmo Battaglia – ma bisogna crederci. Non date mai in appalto a nessuno, ragazzi, la vostra coscienza. Affianco alla parola legalità va coniugata un’altra parola, ed è la parola responsabilità. Solo con queste due parole coniugate insieme è possibile approdare alla stazione della giustizia sociale. Saldiamo insieme – ha concluso il vescovo – la vita alle parole e le parole alla vita. Se cioè applaudiamo ad un giovane che è riuscito ad uscire dal tunnel della malavita, che è riuscito cioè a convertire sé stesso da giovane di camorra a giovane portatore di legalità e di giustizia, poi non possiamo la sera fumare uno spinello o farci di cocaina. Questo non sarebbe coerente. E bisogna sempre avere il coraggio di essere coerenti con le cose che diciamo”.

Il riferimento è alla testimonianza forte di un giovane, proveniente da Scampia, che, non senza un pizzico di commozione, ha riportato l’intera vicenda che ha vissuto fin da ragazzino: dall’avvicinamento e all’affiliazione ad un clan, con tutto quello che ne è conseguito (reati e carcere in primis), al cambiamento radicale che lo ha portato a rendersi conto degli errori commessi, ad essere inserito dal punto di vista lavorativa in una cooperativa sociale e al rinnegare quel mondo della criminalità organizzata che, con quella sua scelta, aveva contribuito a rafforzare. E una scelta hanno compiuto, e stanno compiendo ogni giorno, anche la cooperativa sociale iCare, la Casa per la Pace “Don Tonino Bello” e il Movimento Studenti di Azione Cattolica, che hanno portato la loro testimonianza e il loro impegno costante sui silenzi da rompere, sull’indifferenza da scardinare e sul cercare e riconoscere la bellezza, tramite, rispettivamente, Angelica Ciaburri e Sabrina Cusano, Michele Palmieri e don Donatello Camilli.

“Ogni giorno, quando mi sveglio al mattino, con trepidazione e preoccupazione, chiedo anzitutto a me stesso che scelta voglio fare, cosa sono disposto a fare e se sto facendo abbastanza affinchè i valori della legalità e della giustizia sociale possano trionfare, affinchè le vittime delle mafie siano sempre ricordate, affinchè quel loro sacrificio non sia mai vano ma sia una continua spinta per alzare la testa e metterci la faccia, per non piegarsi mai di fronte alle ingiustizie ed urlarlo ad alta voce. Abbiamo il dovere della memoria nel ricordare tutte le storie e i volti delle persone che hanno dato la propria vita per amore del loro territorio”. Il pacco è appunto questo: un insieme di storie di coraggio di chi non si è piegato o di chi ha deciso di non piegarsi mai più alla criminalità organizzata. Il pacco alla camorra è una delle prove concrete che, con il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, si può provare a costruire qualcosa di ottimale per l’intero territorio, che unisce qualità e legalità, occupazione e giustizia, attenzione agli ultimi e speranza. Ma ci vuole l’impegno di tutti, ognuno per quello che può dare, a partire dal territorio in cui abita.



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