Maria Pia De Vito: "Riverberi e' la celebrazione dell'immaginazione"

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Si sono raccontati a IlQuaderno, Maria Pia De Vito e Franco Arminio, i due artisti ospiti ieri della terza serata di Riverberi, il festival ideato da Luca Aquino, ed esibitisi nel Chiostro di Santa Sofia.

Maria Pia De Vito, è un artista errante, che da sempre ha provato ad unire il suo amore per la musica etnica e mediterranea ed il jazz. A Riverberi si è esibita con Huw Warren, compositore e pianista britannico portando sulla scena “Dìalektos”, un viaggio che ha le sue radici a Napoli che definisce “un Agorà a cielo aperto”, ma allo stesso tempo con il pensiero rivolto al Mediterraneo e ad alcuni ritmi brasiliani.

Negli anni è sempre andata alla ricerca di sonorità particolari partendo appunto dalla città partenopea. “Napoli – dice la De Vito – contiene tutto: francesismi, spagnolismi, mielismi, un esemplare unico. A Napoli non si butta via niente”. La musica come viatico, come intercultura. “La musica è la nostra ricchezza. Io – continua la De Vito – vado ad indagare su territori diversi cercando di tenere unito un filo, una tradizione quello dello scambio che a Napoli era molto presente anche nel 1600 e 1700”.

Come? Le chiedo. “C’è una lettera consolare de Il Cario – precisa – nella quale questo console racconta del passaggio di una cantante che faceva tournée nel Mediterraneo, quindi immagina cosa poteva essere, un viaggio lungo anni. Lo scambio c’è stato ed è sempre stato vitale. Oggi se qualcuno s’infuria per questo, pazienza, la musica è accoglienza ed io accolgo quello che la musica mi ispira”.

La musica come vivacità, come racconto del quotidiano. Maria Pia De Vito cerca di rappresentare quello che vive, quello che la tocca ed il discorso vira inesorabilmente su Napoli che dipinge come “un faro”, al quale è “nostalgicamente attaccata, ma nostalgicamente per renderne la bellezza, cerco di non essere imprigionata in una tradizione. Quello che mi interessa è quella bellezza che mette i brividi e mi sento così come una spugna che riesce ad assorbire tutto, senza scartare nulla perché è proprio dalle cose prevedibili che poi arriva l’imprevedibile”. “Io sono un’improvvisatrice, ma utilizzare qualcosa della cultura napoletana significa aprire le porte all’Africa, al blues, alla Spagna e attraverso i ritmi sincopati arrivi giù fino al Brasile”.

Tutta questa ricerca, costa all’artista comunque tanta fatica. “Tutto crea delle difficoltà – risponde la De Vito – anche lavorare al catasto dalle 8.00 alle 17.00, ma devo dire che essendo nata nel ’60 e dunque avendo 17-18 anni nel 77-78, ho avuto la possibilità, il privilegio, di fare ricerca (frutto dello squarcio culturale aperto dai movimenti post 68, ndr) senza sentirmi obbligata di costruire qualcosa di commerciale che mi aiutasse a campare. Questo è frutto di un imbarbarimento culturale che poi produce le solite paure”.



Riverberi sta crescendo, ma ha bisogno di sostegno. Oggi la cultura forse è un po’ messa da parte. “Riverberi – conclude – è festival giovane, intraprendete, contemporaneo e pieno di idee, come Luca (Aquino ndr) che mette insieme la musica interessante che lui sente viaggiando. Un’apertura di visione che gli consente di immaginare una cosa del genere in un luogo come questo dove non ti aspetteresti mai di ascoltare cose così particolari. Il fatto di dare spazio a queste cose è una celebrazione dell’immaginazione, una cosa molto stimolante anche per i giovani. Bisogna stupire, non intrattenere perché chi vuole essere intrattenuto significa che si addormenta. Siamo venuti qui a Benevento a sostenere il festival, è importante che si storicizzi, magari come quello di Berchidda organizzato da Paolo Fresu, e fare in modo che il territorio non ne possa fare più a meno. Anche questo è PIL, la cultura è PIL”.

Michele Palmieri



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