Mons. Battaglia incontra i giornalisti: "Prima di tutto la verita' "

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Mons. Battaglie e don Domenico RuggianoMons. Battaglie e don Domenico Ruggiano

Stamani a Cerreto Sannita, l'incontro che mons. Domenico Battaglia ha svolto con gli operatori dell'informazione della Valle Telesina e Caudina, nel giorno in cui i giornalisti festeggiano il loro patrono.

“Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza e, pertanto, essere molesto”. Così Horacio Verbitsky – celebre giornalista argentino – ha definito in passato l’essenza del giornalismo, che è una missione più che un mestiere. Già perché capita che molti in nome della libertà e della ricerca della verità siano costretti a rimetterci la vita come Anna Politkovskaja, Giuseppe Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Giancarlo Siani, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, solo per citarne alcuni, almeno i più famosi. Poi ce ne sono tanti che lavorano in silenzio, con contratti precari, i cui nomi difficilmente saranno letti sulle pagine dei quotidiani “importanti”.

Eppure è grazie a coloro che muovono quelle “penne”, che tessono contatti, raccontano storie, molto spesso intricate, che molti “ultimi” trovano voce, un volto. Tutti i giornalisti però hanno in comune qualcosa: che sia la passione, la sfrenata ricerca della verità o la voglia estrema di giustizia. “La verità prima di tutto” è anche il monito lanciato stamani, nel giorno di San Francesco di Sales patrono dei giornalisti, da mons. Domenico Battaglia vescovo della diocesi di Cerreto Sannita, Telese e Sant’Agata de’Goti che ha incontrato in episcopio gli operatori dell’informazione della Valle Telesina e Valle Caudina.

Un incontro senza precedenti. Il primo, probabilmente dopo anni. “Sono qui da pochi mesi e sto facendo di tutto per entrare nel vissuto di questa comunità che – ha chiosato il presule – è composta non solo da tante fragilità sommerse ma anche da innumerevoli positività. Quale migliore opportunità – ha aggiunto – per incontrare gli operatori dell’informazione se non nel giorno di San Francesco di Sales patrono dei giornalisti”.

Un momento di ascolto quello voluto da “don Mimmo” per imparare a leggere il territorio da chi ha il compito di scrutare ed interpretare la quotidianità per poi raccontarla, senza filtri. Quella di oggi, è una pietra lanciata nello stagno, tesa però non ad intorbidire l’acqua ma a smuoverla, a creare dei cerchi concentrici che si muovo all’unisono, in sincronia.

Le parole di “don Mimmo” sono state un pugno nello stomaco, tese a riscoprire valori che molto spesso sono stati persi nel tempo e nelle trasformazioni che negli anni questo lavoro ha subito: isolazionismo, spettacolarizzazione del dolore, tra tutte. Il messaggio è ben altro: è teso a fare rete, a raccontare non solo le storture ma anche le possibilità, quelle che il territorio offre ma sono troppo spesso nascoste, dimenticate, isolate, scomode. Anche perché, come ricorda “don Mimmo”: “un albero che cresce fa più rumore di un albero che cade”.

Il vescovo telesino è un fiume in piena, racconta storie di strada, della sua strada, a chi pur vivendola alle volte chiude gli occhi e passa oltre. Ascolta le difficoltà di chi racconta, parla di opportunità, ma anche di progetti futuri, in una terra che la crisi e l’emigrazione stanno lentamente svuotando. D’Altronde l’aridità del tempo ha inciso anche sulle coscienze ed oggi è difficile segnare, tracciare solchi capaci di smuovere il terreno. Lo fa però con garbo “don Mimmo”, anche se lontano anni luce da quegli schemi convenzionali che scandiscono di solito appuntamenti di questo genere.

L’idea di fondo è quella di un percorso capace di costruire una cittadinanza attiva, che porti le persone a “schierarsi” per carità dietro nessuna barricata, ma a prendere decisioni, scelte, abbandonando l’ignavia, il “è lontano dai miei interessi”, i “non mi tocca”.

Don Milani a Barbiana insegnò per prima cosa ai suoi allievi la parola “I Care”, mi interessa – mi sta a cuore, la incise sulla lavagna non a futura memoria ma affinché quell’insegnamento semplice e allo stesso tempo rivoluzionario, riuscisse a penetrare e lentamente trasformare i suoi alunni. “I Care” probabilmente dovrebbe essere il motto non solo del giornalista che “si interessa” di quello che ha intorno per tradurlo, per renderlo fruibile ai più – guai se poi lo facesse solo per cercare lo scoop o riportare la notizia – ma anche del cittadino ed il tutto potrebbe essere sintetizzato in “vivere consapevolmente” o “partecipazione”.

Tiziano Terzani, intervistato da Giovanni Nardi, alla domanda “il giornalismo è un mestiere come tanti, o un’altra cosa?”rispose: « E’ un mestiere, ma non come tanti. Non é una cosa che fai andando a lavorare alle 9 del mattino e uscendone alle 5 del pomeriggio; è un atteggiamento verso la vita che muove dalla curiosità e finisce col diventare servizio pubblico: è missione. Non è un semplice mestiere, non un modo di guadagnarsi da vivere, ma qualcosa di più, che ha una grande dignità e una grande bellezza, perché è consacrato alla ricerca della verità. Ecco il suo valore morale, avvertibile nel modo di raccontare, nel presentare i fatti”.

È dunque inevitabile per il giornalista, ed il giornalismo lottare per la dignità, anche la propria. Ma la dignità va anche riconosciuta, aiutata ad emergere, accompagnata, nonostante le difficoltà di chi la osteggia perché la dignità di ogni persona è data dalla possibilità di scelta e scegliere è sinonimo di libertà.

Insomma, quello di oggi è stato il primo incontro di un percorso che proseguirà nel tempo. La giornata di oggi è stata però scandita dal messaggio per la 51a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali lanciato da Papa Francesco. Nel testo, il pontefice, invita gli operatori della comunicazione a non ignorare nulla e allo stesso tempo esorta tutti a costruire “una comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro, grazie alla quale si possa imparare a guardare la realtà con consapevole fiducia”.

Come? Attraverso un paio di occhiali che abbiano una gradazione giusta ed aiutino a guardare. “La vita dell’uomo non è solo una cronaca asettica di avvenimenti, ma è storia, una storia che attende di essere raccontata attraverso la scelta di una chiave interpretativa in grado di selezionare e raccogliere i dati più importanti. La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli ‘occhiali’ con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Da dove dunque possiamo partire per leggere la realtà con occhiali giusti?”.

Per Papa Francesco, è arrivato il momento di “spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle ‘cattive notizie’ (guerre, terrorismo, scandali e ogni tipo di fallimento nelle vicende umane). Certo, non si tratta di promuovere una disinformazione in cui sarebbe ignorato il dramma della sofferenza, né di scadere in un ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male. Vorrei, al contrario, che tutti cercassimo di oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite. Del resto, in un sistema comunicativo dove vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dramma del dolore e il mistero del male vengono facilmente spettacolarizzati, si può essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione”.

Michele Palmieri



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