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27/5/2016 :: 10:56:22

Nel giorno del Corpus Domini il saluto di Benevento a mons. Andrea Mugione

Andrea Mugione - Foto tratta dalla pagina Fb Duomo di Benevento
Andrea Mugione - Foto tratta dalla pagina Fb Duomo di Benevento

Ieri nella solennità del Corpus Domini, nel Duomo di Benevento, la funzione liturgica di saluto a mons. Andrea Mugione che lascia per sopraggiunti limiti d'età.
 
Una cerimonia densa quella che ieri i fedeli hanno vissuto nel Duomo di Benevento dove mons. Andrea Mugione, amministratore apostolico dell’arcidiocesi ha salutato tutti prima dell’ingresso in città il prossimo 12 giugno del nuovo presule mons. Felice Accrocca. In prima fila le cariche più Istituzionali più alte: dal prefetto Paola Galeone al questore Antonio Borrelli al sindaco Fausto Pepe, che con mons. Mugione ha iniziato e chiuso il suo sindacato. Infatti originario di Caivano, l’arcivescovo giunge a Benevento nel 2006, in precedenza fu pastore della diocesi di Cassano allo Ionio prima e dell’arcidiocesi di Crotone – Santa Severina poi. Dal suo ingresso il 24 giugno del 2006, dieci anni intensi sulla cattedra che fu di San Gennaro, ripercorsi in un discorso forte e ricco di sentimenti.

“Confesso sinceramente sentimenti di gratitudine al Signore – ha detto mons. Mugione – e a tutti voi per il cammino fatto insieme in questo decennio. Ma vorrei manifestare anche sentimenti per la stima, per la comprensione, per l’affetto, per l’amore e per la preghiera con cui mi avete accompagnato, seguito, collaborato, obbedito in questi anni di servizio pastorale. Avverto, ho avvertito e continuerò ad avvertire intorno a me affetto e tanta preghiera: vi porto, vi ho portato e vi porterò nell’intimo del cuore. Certo, avrei desiderato il contraccambio da parte di tutti. Molti hanno aperto il loro cuore”.
Riferendosi al suo successore ha auspicato inoltre che i fedeli vogliano bene al mons. Accrocca. “Auspico che tutti vogliano bene al vescovo di oggi, Felice, come sono certo che il vescovo vi amerà. Accoglietelo con amore e non solo con trepidazione.

Lo dico soprattutto ai miei figli sacerdoti. Non dimenticate mai che siete sacerdoti perché lui è vescovo, non il contrario. Vi ho amati tutti, figli carissimi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, seminaristi e fedeli laici, ma non ho mai sognato che tutti mi riamassero. In questo sarebbe evidente che non avrei compiuto il mio dovere di padre e di pastore. Per questo vi ringrazio anche per le preoccupazioni, le croci, i problemi e le critiche, spesso anonime e nascoste. Con la Grazia di Dio, la fiducia incondizionata nel Maestro, non mi sono scoraggiato, anzi, ho nutrito quella ferma speranza che anche dalla zizzania può nascere il grano e dal letame i fiori più profumati”.

Uno sguardo è stato rivolto anche a questi dieci anni di lavoro pastorale. “Se si è lavorato bene è merito di tutti e non solo del vescovo. Se si è raccolto poco è anche responsabilità di tutti, insieme. Ognuno poteva fare di più e meglio per la Gloria di Dio e per il bene dei fratelli, a partire dal Vescovo, da me. Ho cercato di governare suscitando condivisione, convinzioni, collaborazione, consenso e comunione; convincendo, persuadendo e non prendendo da solo le decisioni. Ci siamo aiutati, apprezzati, qualche volta sopportati e sempre perdonati. Ho cercato di vivere il mio ministero episcopale pazientemente, con discrezione, prudentemente, sapendo aspettare i tempi di maturazione di ognuno, cercando di mostrare il volto mite e misericordioso del padre, anche se ciò mi ha causato qualche sofferenza e qualche incomprensione.

Ora, vi prego, perdonate le mie omissioni, qualora ce ne fossero state. Vi chiedo perdono dei miei limiti. Dobbiamo avere consapevolezza, coscienza tra quello che siamo e quello che dobbiamo essere; tra il ministero a noi affidato e le nostre limitate attitudini. Capacità e, a volte, incapacità tra le attese di una moltitudine e le nostre possibilità di servizio. Questa sproporzione accompagna la vita e la missione di ogni discepolo ed esige umiltà”.

“Come Gesù ha detto – continua mons. Mugione citando il vangelo di Luca – ‘Quando avrete fatto tutto quello che vi e stato ordinato, dite: siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare’. Uno scrittore inglese affermava: ‘Quando nessuno mi dice grazie, sono ringraziato abbastanza: vuol dire che ho fatto il mio dovere e nulla più’. Avere il coraggio di pronunciare questa confessione è segno di vera grandezza e nobiltà d’animo, soprattutto in un mondo in cui domina la ricerca di riconoscimento e premi. L’ingratitudine, purtroppo, è una piaga molto diffusa. Impariamo, allora, a dire ‘grazie’ un po’ di più anche perché sono molti i doni che riceviamo da Dio e dagli uomini”.

Mons. Mugione tiene a dire poi che “il bilancio definitivo lo fa solo il Signore. A noi l’affidarci alla sua misericordia con il dovere di lode e ringraziamento. A me preme che il Vescovo sia ricordato per il primato dello spirituale sul materiale, della preghiera sull’azione, della vita interiore su quella esteriore. Vorrei che fosse ricordato come costruttore dell’opera interiore, della vita dello spirito, dello spazio dato a Dio rimanendo nell’umiltà, nella pazienza, nella capacità di dialogare e di sdrammatizzare. Il Signore non ci chiede di risolvere tutti i problemi delle nostre comunità e della Chiesa. Sono molti i problemi irrisolti, molti dei quali, mio malgrado, ereditati. Ho cercato di affrontarli.

Hanno pesato molto sul mio ministero ma non mi sono mai sentito né solo né abbandonato nel portare la Croce. Il Signore mi ha sempre ricompensato con la pace e la serenità interiore. Occorre che la Chiesa, nella sua dinamicità e creatività, faccia fronte alle problematiche e alle sfide che ci sono. Ricordiamo, però, che il futuro si gioca nell’amore, nel dialogo, nelle relazioni forti e fondate sulla collaborazione e la cooperazione, pur nei limiti e nelle fragilità. È ora di lasciare alle spalle le critiche, le opposizioni e le contrapposizioni, le lacerazioni e le beghe di parte sia in campo sociale che ecclesiale”.

Ha poi concluso. “Mi piace chiudere con una riflessione tratta da un testo indiano sulle quattro tappe delle vita: imparare, insegnare, meditare e mendicare. Questetappe sono tra lo intrecciate. IMPARARE. E’ il tempo dello studio, della ricerca, dell’apprendimento, del discepolato umile e paziente. INSEGNARE diventando maestri, testimoni, padri e madri, guide. In questa tappa si condivide quello che si è appreso con gli altri. MEDITARE. Momento della ricarica, del rifornimento per non esaurirsi donando. MENDICARE. E’ la tappa della solitudine intima e profonda. Alla fine giunge la vecchiaia e la malattia e allora, con umiltà, si deve stendere la mano per essere aiutati e sostenuti”.



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