Rumiz racconta la sua Appia, autostrada di uno sviluppo sostenibile

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Rumiz a BeneventoRumiz a Benevento

Paolo Rumiz a Benevento per raccontare la sua "Appia", appassiona un Auditorium gremito. Ripercorre i 611 km del suo viaggio, ne narra le potenzalità e le storie, per poi giungere alla sua tutela e alla sua promozione. 

“L’Arco di Traiano significa l’apertura, il grande bivio. È qui, non a caso a Benevento, che l’Appia è stata velocizzata con una variante che scendeva verso Bari”. Così Paolo Rumiz, giornalista e scrittore, stamani a Benevento presso l’Auditorium Sant’Agostino ha raccontato con passione il suo viaggio lungo l’Appia Antica, la regina viarum. Un racconto che ha il sapore della testimonianza, un viaggio lungo 600km affrontato nel 2015, un viaggio che Rumiz ha raccolto in un libro edito da Feltrinelli.

“So che molti di voi hanno letto il libro, ma noi abbiamo deciso di fare questa strada – dice Rumiz – perché non ci sembrava impossibile che una nazione come l’Italia non avesse colto l’occasione di valorizzare questa grande linea che è la prima via d’Europa. Questa è una cosa di cui gli italiani non sono a conoscenza e spesso anche le popolazioni locali ne sono a conoscenza”.

Una sorta, dunque, di operazione promozione che probabilmente è servita anche destare non solo interesse ma anche l’orgoglio, la curiosità, “quella scarsa fierezza” che Rumiz dice aver intravisto nei giovani lungo il suo percorso. Ma c’è dunque da chiedersi perché i romani avevano deciso di spostarsi verso Sud e Rumiz lo spiega con una semplicità disarmante. “Al Nord non c’era niente. L’Appia – aggiunge – è l’indicazione di un grande destino Mediterraneo, Roma aveva generato una grande comunità mediterranea. Questa strada è il segno del vostro destino. Se oggi la Siria, la Libia, l’Iraq ci scappano di mano è perché abbiamo perso contatto con quei luoghi. Oggi questa Europa troppo nordica dovrebbe guardare di più a queste terre e al Mediterraneo”.

L’Appia arteria non solo di collegamento, ma spina dorsale di un mondo, lascito di un destino lungo millenni, testimonianza viva del passato che potrebbe servire a leggere il futuro. Rumiz, con la sua proverbiale franchezza aggiunge “lo scopo del viaggio era quello di restituire all’Italia un grande bene abbandonato, perché non è possibile che 300mila italiani ogni anno effettuano il cammino di Santiago e nessuno l’Appia”.

Nelle parole di Rumiz però si ha l’impressione che l’Appia, oggi, possa essere anche il simbolo della tutela del territorio e di un patrimonio non solo culturale, negli anni devastato, ma anche ambientale. “L’Appia non è un’anticaglia, ma una grande infrastruttura moderna. Ancora oggi tra due città è la strada più breve e razionale, mentre noi abbiamo devastato il territorio di svincoli e rotatorie”. L’Appia, oggi, potrebbe dunque essere l’autostrada di uno sviluppo sostenibile, legato al territorio, alle tradizioni, a quei riti antichi che affondano le radici nella notte dei tempi. Appia via dell’emozione, un salto nel vuoto, “all’improvviso sparisce in un campo in un campo di grano – racconta Rumiz – e poco dopo la ritrovate lì con il suo basolato antico, roba da Indiana Jones, un itinerario ritrovato. L’emozione di arrivare a Benevento, attraversare il ponte Leproso entrare in una città in cui le epoche si sovrappongono in una tempesta di stili e di civiltà che da il mal di testa è una cosa che non potete negare”.

Per Rumiz, c’è dunque, “una vita dentro le rovine che non esiste altrove. Qui voi potete entrare in un anfiteatro sentendo l’odore del ragù e le chiacchiere delle comari che si scambiano informazioni sulla giornata. È questa una delle cose che del Sud mi ha colpito di più, perché è vero che l’antico molto spesso è stato stuprato, ma anche vissuto”.

Insomma, secondo Rumiz, “l’Appia è portale per delle grandi meraviglie nascoste. Dentro, c’è un mondo tutto da scoprire ed una civiltà che sa offrire una ospitalità greca sconosciuta ai più. Il mondo antico – ha poi concluso – può tornare al centro se l’Europa scopre che il suo futuro è il Mediterraneo”. Un viaggio dunque, che per Rumiz si è trasformato in un lavoro abnorme, un progetto, una mostra che toccherà, dopo Roma, anche Benevento e Santa Maria Capua Vetere, Taranto e capitali europee come Berlino, Londra e probabilmente San Pietroburgo.



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