Sannio e petrolio: Oltre 595 Kmq da trivellare ma, dopo nove mesi, resteranno solo buche

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"Case Capozzi" e "Pietra Spaccata": 423,70 Kmq (261,85 Kmq in territorio beneventano) e 333,30 Kmq, per un totale di 595,15 Kmq di territorio ricadente nella provincia di Benevento, 33 comuni sanniti interessati (cinque di loro da entrambi i progetti, altri quattro sono ricadenti nella provincia di Avellino). Eccolo qui, nella sua completezza, il doppio progetto della Delta Energy Ltd, società britannica che intende sbarcare nel Sannio alla ricerca del petrolio. Trivelle tra le colline sannite in arrivo dunque. Con tanto di istanze di permesso del Ministero dello Sviluppo Economico, (Direzione Generale per le risorse minerarie ed energetiche) e di pubblicazioni nel Bollettino Ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse. Altro che decreti dirigenziali della Regione Campania: la ricerca di idrocarburi nel Sannio è partita da molto più lontano, prima di passare per Napoli. Sei in totale le richieste della Delta Energy Ltd, società britannica che ha sede legale in Inghilterra ma è è elettivamente domiciliata ai fini del presente atto presso lo Studio Legale Turco, Viale G. Rossini 9, 00198 Roma. Quattro progetti riguardano la Basilicata, due appunto, il Sannio e parte della provincia irpina (Valle Ufita). Chiariamo subito che la Delta Energy Ltd ha chiesto il permesso per trivellare, di fatto non lo ha ancora avuto del tutto anche se si trova in una posizione di vantaggio. Il Sannio è direttamente coinvolto anche perchè la Regione Campania ha dato il via libera (pubblicazione del decreto dirigenziali sul Burc regionale il 24 dicembre 2012) per le trivellazioni petrolifere nella provincia di Benevento. E' arrivato infatti il parere favorevole di Via integrata con la Valutazione d'incidenza "su conforme giudizio della Commissione V.I.A., V.A.S. e V.I., espresso nelle sedute del 2 agosto 2012 e del 30 ottobre 2012 per il al progetto "Intervento di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma denominato "Pietra Spaccata". Per quanto riguarda invece "Case Capozzi", la notizia è di ieri e cioè che l'istanza di permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, è stato pubblicato ancora una volta sul Burc regionale, (n.3 del 14 gennaio 2013). I cittadini dei 33 comuni interessati sono pronti alla mobilitazione, mentre ancora nessuna istituazione si è pronunciata sull'argomento se si esclude l'approccio al problema che si svolse in sede provinciale (l'ultima dichiarazione dell'assessore provinciale Gianluca Aceto, interpellato da "Il Quaderno.it" all'indomani del via libera per "Pietra Spaccata" fu quella di ricorrere al Tar) e le conseguenti delibere comunali contro le ricerche di idrocarburi votate dai comuni direttamente interessati.
ROYALTIES ED INTERESSI, MA DOPO NOVE MESI E' TUTTO FINITO
Ottenere maggiori introiti dai petrolieri, che pagano allo Stato una tassa "royalties" sui loro incassi per compensare i danni ambientali provocati dalle trivellazioni. Tutto a favore delle compagnie petrolifere operanti sul territorio italiano. Oltre alle multinazionali ci sono poi una miriade di compagnie francesi o australiane, fino ad arrivare a quelle inglesi. Come la Delta Energy Ltd ad esempio. Unico obiettivo è quello di ottenere permessi di estrazione. In Val d'agri, nelle coste adriatiche, nelle isole Tremiti, in Veneto, nel Sannio ed in Irpinia. Interessante capire perchè questa brusca accelerata. Un punto di partenza potrebbe essere un comunicato redatto da Aspo Italia (associazione scientifica che studia il picco del petrolio e dunque non proprio ambientalisti...) datato martedì 8 maggio 2012. Un lungo studio (a link di questo articolo) che in sintesi afferma che i dati forniti dal ministero dello Sviluppo economico ed aggiornati al 31 dicembre 2010, calcolando riserve certe, probabili e possibili si arriva a 103 miliardi di metri cubi di gas naturale e 187 milioni di tonnellate di petrolio. Se si considerano le sole riserve certe, l’Italia possiede 66 miliardi di metri cubi di gas e 77 milioni di tonnellate di petrolio. Le riserve certe però, coprono solo tre quarti del fabbisogno nazionale annuo ed in pratica, dopo nove mesi non rimane più nulla, resteranno solo i buchi delle trivelle. L'autonomia energetica nazionale svanisce, il pertolio si prosciuga, a differenza di fonti rinnovabili (come eolico e fotovoltaico/solare) che hanno autonomia energetica duratura ed assicurata.
LO STUDIO CYGAM ENERGY: 'L'ITALIA CONVIENE'
Interessante, a tal riguardo, è uno dossier stilato nell'aprile del 2010 dalla Cygam Energy, società petrolifera del Canada, che spiega perchè l'Italia è terreno fertile per le multinazionali petrolifere. Il documento, in inglese, è stato ben riportato da Valerio Valentini di Byoblu: “Per i permessi offshore la royalty statale sulla produzione di petrolio è solo del 4%”, mentre negli altri stati le percentuali sono vertiginosamente più alte. Qualche esempio? In Libia e in Indonesia è l’85%, in Russia e Norvegia l’80%, in Alaska 60% e in Canada 50%. In Italia non devono essere pagate royalties sui primi 300 mila barili di petrolio prodotto ogni anno e per ogni giacimento”, il che significa “una produzione di petrolio libera da royalties sui primi 822 barili al giorno, per singolo giacimento”. Per cui se una compagnia ha centrali estrattive in diverse zone, può portarsi a casa anche milioni di barili all’anno senza pagare neppure un centesimo. A questo aggiungiamo che un recente intervento del ministro Passera nel maggio 2012, esprimeva bene le posizioni che il Governo Monti ha coltivato in ambito energetico, condividendo a quanto sembra la visione del precedente governo Berlusconi. Come dire: ve lo avevamo detto. Eppure nessuno sapeva niente.
Gaetano Vessichelli



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