Sound&Vision: You must be certain of ‘The Coffeen’

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Era un giovedì sera di due anni or sono, quando arrivati a Berlino, un gruppo di turisti in vacanza, dopo le estenuanti ricerche fatte via web in Italia per l’organizzazione delle serate nella capitale tedesca, cercò il Sage Club dove andava in scena “Rock at Sage”.
Istituzione delle notti berlinesi, il club si trova nel quartiere Mitte, in un fatiscente edificio il cui ingresso, dopo aver lasciato la U-Berlin (la metro di Berlino), si può scorgere solo dalle persone in fila per entrare.
Scesi all’interno ci ritroviamo subito di fronte al palco dove si esibiscono gruppi live: A sinistra si scorge una sala più piccola e misteriosa e continuando, seguendo il flusso di gente, si entra in una sala grande con bar, piscina all’aperto (grande sorpresa), divani usurati ma comodi e larghi, muretti su cui ci si appoggia e musica rock di qualità.
Insomma, turisti “ricercatori” e popolo berlinese uniti per un'unica passione: La musica.
Dopo un primo giro nella sala grande e bibita al bar mi avvicino al palco del primo ambiente, ma la mia curiosità è per quella sala più defilata.
Mi avvicino e comincio a scorgere figure vestite di nero con capelli lunghi e musica dai toni bassi, cupi, distorti: riconosco che è metal, o meglio associabile a quel genere che io identificavo così.
Dire che io, con capello corto, Lacoste blu e jeans mi sentissi fuori luogo, è poco. Non mi era mai capitato di essere in una discoteca Metal/Heavy metal, ma la passione per la musica mi rapì.
Note sature, disturbanti all’inizio, ma piene di atmosfere, distorsioni della chitarre al massimo, tutto su toni bassi e cavernosi, e poi il ballare o cercare per lo meno di condividere la musica sparata a volume alto che proveniva dalle casse, con le figure nere che agitavano il capo facendo roteare i capelli lunghi a ritmo delle note distorte: fu uno spettacolo, davvero.
Ci sono tornato più volte in quella sala, in quella serata, sempre per capire e recepire quella musica fino ad allora solo sfiorata in qualche curiosità di lettura, ma niente di più.
E con grande piacere oggi, dopo qualche tempo, mi trovo tra le mani un lavoro che mi ha ricordato quelle atmosfere vissute al Sage Club, sono The Coffen con “You must be certain of the coffeen”, in uscita a maggio per la Moonligth Records di Parma. Piccola etichetta indipendente ma foriera di produzioni in questo ambito: Heavy Metal, Rock.
Il gruppo è un trio composto da Andrea Giuliani (vocals/bass) - Giampaolo Rossi (drums) - Matteo Folegatti (guitar/vocals), che producono un muro di suono ascrivile, se ci forziamo di dare una etichetta all’arte musicale, al Doom Metal. Ci sono due filoni primari dell'Heavy Metal oscuro, quello cadenzato e vicino ai ritmi lenti degli anni '70 (Black Sabbath) e quello veloce e metallico nato dalla New Wave of British Heavy Metal e caratteristico degli anni '80 (Iron Maiden).
Oggi chi ascolta Heavy Metal ascolta il Doom che ha le sue radici nei primi lavori dei Black Sabbath di Ozzy Osborne, e che riesce a ricreare scenari evocativi, mistici, cupi.
Così i The Coffen con titoli quali Zombies For Breakfast, Satan is POP, Zombie’s Bar, ci immergono in una colonna sonora di Horror/Thriller fiabeschi e moderni come il movie scandinavo “Lasciami entrare”, da recuperare, oppure nel bel zombie movie di “30 Days of Night” (sangue che si mischia al bianco dei ghiacciai dell’Alaska) che ben sarebbe stato accompagnato da queste note.
Il primo brano (tutto l’album è ascoltabile su Bandcamp all’indirizzo http://thecoffeen.bandcamp.com/), “Zombies For Breakfast”, è l’incipit del percorso verso gli inferi, quasi come se la tonalità di Peter Murphy dei Bauhaus in omaggio all’attore di Dracula con “Bela Lugosi’s dead”, avesse incontrato il metal: Le atmosfere evocate, sono le stesse.
Gli strumenti sono ben distinguibili: basso, batteria e chitarra, sono registrati in presa diretta, senza sovra incisioni, nonostante il muro di suono e la voce potente, evocativa di Andrea Giuliani che disegna le melodie e conduce lungo un labirinto fatto di soluzioni stilistiche pregevoli.
C’è tanto ‘70 virato dal Metal moderno, più digeribile rispetto al supersonico Heavy degli Iron Maiden, molto vicino alle atmosfere del Rock Nord Europeo (la Scandinavia è la patria attuale di queste sonorità).
C’è vecchia scuola Hard Rock (Led Zeppelin) sia nelle trame di chitarra che negli assoli di Matteo Folegatti, come - in primis - nel brano “FistFuck Rising” così come nella batteria ritmata e puntuale di Giampaolo Rossi.
Soprattutto il canto ha inclinazioni Doom, con voce cavernosa ed effettata nelle fughe vocali, ma è un Doom atmosferico non stoner, il che dopo un primo impatto iniziale, per chi è abituato ad altre coordinate musicali, consente di incamminarsi in questo viaggio di scoperta.
Estetica punk alla Black Flag in Satan is POP, ritmi rallentati e voce confidenziale, invece, in Zombie’s Bar. E poi si riprende con il rock puro e granitico di The Coffen.
Voce lucifera nella conclusiva When the Telephone Doesn't Ring, con il telefono che è lasciato squillare in coda del brano, come il suono delle campane ti accoglie in apertura dell’album.
Insomma è come un Thriller movie questo lavoro di The Coffen, con momenti di adrenalina pura, ma una volta seduti con cuffie e volume sparato alto, siamo presi e restiamo incollati per gustarcelo fino al The End.
Giovanni Piacquadio




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