SPECIALE CITTA' SPETTACOLO- Il 'coraggioso' Enrico Iv di Matteo Tarasco

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Il teatro De SimoneIl teatro De Simone

SPECIALE CITTA’ SPETTACOLO - Domenica 7 settembre è andato in scena al Teatro De Simone Enrico IV (ma forse no) di Matteo Tarasco. Il regista gioca fin dal titolo con una serie di topos pirandelliani rielaborandoli e riadattandoli al contesto contemporaneo. Uno spettacolo originale, ben congegnato e nello stesso tempo piacevolissimo che non ha avuto, purtroppo, il pubblico che avrebbe meritato. Per tutti gli assenti, abbiamo incontrato il regista che ci ha restituito il senso e la storia del suo rifacimento.

Matteo il tuo è un atto coraggioso e molto apprezzabile a mio avviso. In genere si ha sempre un timore reverenziale nel rappresentare Pirandello, come ti è venuta l'idea di usare il testo solo come punto di partenza?

Il timore reverenziale impedisce l’evoluzione del teatro, perché la paura, non soltanto in teatro, mangia l’anima. Alcuni anni fa a Londra, ho allestito un Mattia Pascal in inglese con attori americani, inglesi e olandesi. Nessuno di loro aveva studiato Pirandello a scuola, come accade per noi italiani, e il loro sguardo stupito e ammirato al cospetto della genialità del maestro di Agrigento mi ha dato lo spunto per raccontare in modo nuovo il capolavoro pirandelliano, scegliendo il punto di vista dei vassalli di Enrico IV, in realtà degli attori che vivono nel sottosuolo della villa ove si ambienta la vicenda.

I programmi scolastici tendono a presentare Pirandello in maniera un po' obsoleta, non puntando sulla modernità del suo teatro, ma sulle tematiche ormai troppo usurate. C'è anche la volontà di “svecchiare” il Pirandello dell'immaginario collettivo?

Credo nell’immortalità dei classici, ma proprio per questo ritengo opportuno e forse necessario remixarli in forme nuove per renderli sempre fruibili. Picasso diceva che bisognerebbe poter mostrare i quadri che stanno sotto i quadri. Seguendo questo suggerimento ho cercato di sbirciare molto liberamente dietro le quinte di un testo straordinario cercando di coglierne suggestioni nuove.
Senza Pirandello il teatro del novecento non esisterebbe, pertanto non credo abbia bisogno di essere svecchiato. Necessario è invece svecchiare le modalità con le quali creare teatro oggi in Italia, cercare di aprirsi a nuovi esperimenti non soltanto artistici ma anche produttivi.

Non è il tuo primo confronto con un classico. Hai portato in scena anche l'Eneide (rappresentata anche a Benevento tra l'altro! Il 28 febbraio all'interno della stagione della Solot, obiettivo T)... il tuo quindi è uno stile ben preciso?

Amo i classici, perché sono i testi più contemporanei che conosco. C’è molta più modernità in Virgilio che in Pinter.

C'è in ogni caso molto Pirandello, non solo citazioni dirette ma anche uno stile pirandelliano. Surreale, grottesco, con un passaggio graduale e poi sempre più netto dal comico al tragico. C'è una scelta consapevole, immagino, nella scrittura drammaturgica?

La scelta è consapevole, meditata e attentamente calibrata. Il cambio di registro vuole essere un monito per lo spettatore a non fermarsi alle apparenze a scendere in profondità, ad andare oltre, come fece il cagnolino di Dorothy che scoprì la piccolezza del Mago di Oz, sbirciando dietro il sipario della finzione.

Per Pirandello l'attore non doveva rappresentare il personaggio, ma essere il personaggio. Tu che tipo di lavoro hai fatto con i tuoi attori: Sidy Diop, Federico Le Pera, Tiziano Panici, Brenno Placido? E cosa ti ha guidato a scegliere i tuoi interpreti?

I personaggi della nostra storia hanno gli stessi nomi degli attori che li interpretano. A volte i loro comportamenti scenici sono mutuati dalla realtà. Ho cercato di lavorare come un sarto, che cuce un abito addosso agli attori, un abito confortevole e su misura. Ho cercato di giocare con lo spaesamento dell’identità attore/personaggio, perché il teatro è il luogo dove la verità si fa spettacolo e in palcoscenico nessuno può mentire.

Come nasce, invece, il personaggio di Said? Legato alla storia originale, ma molto rivisitato...

Il personaggio di Said interpretato da Sidy Diop è la chiave di volta della storia, rappresenta l’Altro, il diverso, la sua presenza ci riporta al mondo fuori dalle quattro mura del garage ove sono confinati i finti vassalli, un mondo dove i problemi sono grandi e a volta insormontabili, un mondo dove la finzione è schiacciata dalla triste realtà di migrazioni, solitudini e sofferenze.

Marialaura Simeone



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