Svimez: PIL Campania positivo. Ma il Sannio? Intervista all'economista Luigi Ruscello

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Luigi RuscelloLuigi Ruscello

I dati dell'ultimo Rapporto Svimez parlano di una crescita economica della Campania con tassi doppi rispetto alla media nazionale. Eppure, a guardarsi intorno, nel Sannio - e non solo - si continua a respirare aria di crisi.

Il Quaderno.it ha intervistato l'economista Luigi Ruscello che fa una lucida analisi economica e spiega, in modo chiaro, il perché della differenza tra i dati economici e come i valori sottostanti siano da noi percepiti. Perchè come diceva il buon Trilussa: "Seconno le statistiche d'adesso / risurta che te tocca un pollo all'anno: / e, se nun entra nelle spese tue, / t'entra ne la statistica lo stesso / perch'è c'è un antro che ne magna due". 

Dottor Ruscello, le statistiche certificano che il PIL della Campania è cresciuto del 2,4% lo scorso anno, un tasso doppio rispetto al resto del Paese. Come mai non abbiamo la percezione della crescita economica intorno a noi?

Perché, come ha certificato anche la Svimez è una crescita che ha generato una maggiore occupazione, ma a bassa retribuzione. Inoltre, il numero degli occupati resta ancora inferiore a quello ante crisi. D’altronde, la provincia di Benevento non è cresciuta allo stesso modo della restante parte della Regione. Dai dati Istat in mio possesso, infatti, nel periodo 2000-2014 il valore aggiunto della Campania è cresciuto ad un ritmo annuo dell’1,40%; mentre, Benevento fa registrare solo lo 0,52%. Inoltre, e questo è l’elemento essenziale, secondo le rilevazioni campionarie dell’Istat, dal 2008 al 2014 abbiamo perso più di ventimila occupati. Di conseguenza, potremo avere la percezione di un miglioramento solo quando crescerà in modo consistente l’occupazione.

Il sistema economico della Regione è prevalentemente di trasferimenti, cosa significa?

A mio modesto parere, non è solo il sistema della Campania o di Benevento ad essere così caratterizzato, ma l’intero Mezzogiorno come la ex Germania Est. Come ho messo in evidenza nel mio libro “La questione meridionale non avrà mai fine”, in parziale disaccordo con chi ne indica l’inizio negli anni Cinquanta del secolo scorso, il fenomeno del “colonialismo attenuato”, come definito da De Viti De Marco, iniziò addirittura nel 1887 quando, con l’applicazione della cosiddetta “tariffa” protezionistica, il Mezzogiorno fu obbligato ad acquistare i prodotti del Nord per i suoi consumi. Da allora, il Mezzogiorno è divenuto subalterno nelle scelte di politica economica e dipendente dall’economia del Nord.
In pratica, quindi, essere un sistema economico di trasferimento significa produrre meno di quanto si importa, cosicché, contrariamente a quello che si pensa, compreso il Direttore Generale della Banca d’Italia, quando si interviene in favore del Mezzogiorno non si tratta di “assistenzialismo”, bensì di “sostenimento”, che poi, in realtà, va ancora a vantaggio delle zone più sviluppate.

In economia si insegna che lo sviluppo è legato alla somma di investimenti pubblici e privati ed al risparmio. Quanto risparmia il Sannio e a quanto ammontano gli impieghi?

Nel rapporto di quest’anno la Svimez ha messo in risalto che il rapporto impieghi/depositi del Nord, cioè la percentuale di attività finanziarie destinate a finanziare le imprese e le famiglie, è nettamente superiore a quello del Mezzogiorno, stando ad indicare che parte dei risparmi meridionali vanno a favore delle imprese e delle famiglie del Nord. In realtà, questo fenomeno non è nuovo, come peraltro la stessa Svimez riconosce, in quanto è da decenni che ciò avviene.

Come è fin troppo noto, infatti, le banche raccolgono depositi o, più in generale, liquidità e la investono in favore di famiglie e imprese. Pertanto, il rapporto impieghi depositi misura la quantità di depositi impiegata in favore dell'«economia» e la maggiore o minore liquidità può essere misurata rapportando, nel tempo, gli impieghi ai depositi. Maggiore sarà tale rapporto e minore sarà la liquidità. E, per converso, maggiore sarà la quantità di depositi impiegata in favore dell'«economia». Tanto è vero che esso è stato definito «indicatore della bilancia territoriale dei flussi creditizi».

Detto questo, alla fine del 2016, la consistenza dei depositi in provincia di Benevento ammonta a 4.528 milioni di euro, contro soli 2.802 milioni di prestiti, cosicché il rapporto impieghi/depositi è pari al 61,88%, ben lontano da quello nazionale (183%), meridionale (114%) ed anche da quello regionale (90,18%). Inoltre, a comprova della crisi che attanaglia la nostra provincia si pone anche la discesa che mostra il rapporto dal 2011, anno in cui era pari al 72,52%. D’altronde, in un mio studio di oltre dieci anni fa, in cui utilizzai il rapporto marginale impieghi/depositi, risultò che, dal 1952 al 2005, per ben 34 anni su 53 Benevento risultò essere “esportatrice” di capitali. Vorrei poi sottolineare che in questo caso la colpa non è del Nord, bensì delle nostra ridotte capacità produttive, in quanto è fin troppo evidente che se langue la produzione non vi può essere l’attività di finanziamento e se le imprese che lo chiedono sono deboli economicamente la cosa diviene ancor più difficile.

Altro elemento che determina la crescita futura sono gli investimenti in infrastrutture. Le Opere programmate come la Napoli Bari e il raddoppio della Caianello, a suo parere, aiuteranno?

Sono moltissimi anni che sostengo l’inutilità delle infrastrutture in mancanza di un progetto complessivo. Quest’ultimo, altro non dovrebbe essere che la realizzazione del cosiddetto “capitalismo coalizionale”, cioè l’alleanza delle forze produttive locali per fare, come si dice, massa critica. Nel merito delle singole opere, poi, se il raddoppio della Caianello è divenuto ormai vitale, anche per la sua quasi impossibile percorribilità, non altrettanto si può dire per la Napoli-Bari. In un’ottica meridionalistica, avrei preferito che i soldi previsti per la sua realizzazione fossero spesi in modalità diverse. La prima obiezione che pongo, infatti, riguarda il percorso perché, ove lo si guardi in cartina, si nota agevolmente che ha una forma sinusoidale, andando prima in alto per attraversare la valle telesina, poi in basso per la realizzazione della stazione Irpinia e risalire, infine per giungere a Montaguto.

Sempre dal mio opinabile punto di vista, sarebbe bastato rimodernare il percorso già esistente. Anzi, avrei potenziato la Napoli-Cancello-Benevento e non avrei previsto una deviazione che comporterà seri danni al potenziale produttivo agricolo provinciale, segnatamente nella Valle Telesina, peggiorando così lo status di economia di trasferimento. Vi è poi un ulteriore elemento da considerare nell’ottica meridionalistica e cioè che la costruzione ex novo della linea Apice-Orsara, costerà una cifra enorme, pari a circa 2,7 miliardi di euro. Queste risorse dunque, sempre dal mio opinabile punto di vista, le avrei dirottate verso il porto di Gioia Tauro per farlo rientrare nel piano della cosiddetta “Via della seta”. Per non parlare di quanto sostenuto recentemente da Marco Ponti sulla quasi inutilità degli investimenti nelle ferrovie. Ma, francamente, lo ritengo un po’ eccessivo.

Secondo Svimez la domanda interna del meridione è dell'1,5%. Relativamente vicina alla media UE, ma la Spagna nel 2015 è cresciuta del 3,2%. Cosa ci tiene bassi? 

Qui la risposta è molto semplice e diretta: la disoccupazione.

È innegabile che a parità di lavoro, la media delle retribuzioni reali nel meridione è più bassa rispetto al settentrione; il rovescio positivo della medaglia è il costo della vita minore. Saremo condannati ad avere sempre questo gap o dipende da una maggiore incidenza del lavoro nero? Data la relazione tra livelli di reddito e domanda interna, non si annida proprio nei bassi salari la minore propensione agli acquisti?

Gli altri paesi dell’euro sono riusciti a contemperare assai meglio dell’Italia crescita occupazionale e aumento della produttività del lavoro, ampliando il mercato dei prodotti e aumentando la capacità produttiva. In Italia ciò non è accaduto perché bisogna tener conto della psicologia di noi consumatori. Le nostre preferenze, infatti, sono condizionate fortemente dall’elemento psicologico, ed oggi sembra prevalere quello che Keynes denominò motivo precauzionale, ovvero la quantità di moneta che viene trattenuta per far fronte ad eventi incerti.

Per quanto concerne il minor costo del lavoro, vorrei far notare che nella Germania, ancora oggi, vi è una differenza non paragonabile a quella italiana, perché in valori assoluti e non relativi le retribuzioni della ex DDR sono il 25-30% in meno di quelle dell’Ovest.

In teoria, in Italia, vigendo i contratti nazionali, a differenza della Germania in cui vi sono quelli aziendali, non vi sarebbero differenze perché i salari sono uguali. Tuttavia, tenendo conto del costo della vita, secondo uno studio di Ichino-Boeri-Moretti del 2016, i lavoratori del Sud sono avvantaggiati. In media il potere d'acquisto è più basso di circa il 13% nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali, con un picco del 32% tra gli insegnanti della scuola elementare pubblica

P.S.

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