Tre anni fa il fango sommerse il Sannio. Tra attese, speranze e paure

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Nubifragio nel Sannio - via PonticelliNubifragio nel Sannio - via Ponticelli

Quella notte, simile a quella del lontano 1949, furono tante le famiglie costrette a salire sui tetti per rifugiarsi ai piani alti delle case e mettersi in salvo fino all'arrivo dei soccorsi.

Sono passati esattamente tre anni da quel drammatico 15 ottobre 2015. Il giorno dell’alluvione. La pioggia incessante, furia del Calore e torrenti sommerse il Sannio e lo inondò di fango. Interi paesi come Paupisi e Circello rimasero isolati, altri seriamente danneggiati, come nella zona del Fortore e Solopaca, ma anche Dugenta, Sant’Agata de’Goti, Ponte, Casalduni, San Marco dei Cavoti. Benevento venne sommersa in alcuni suoi punti: Ponticelli, Rione Ferrovia, Ponte Valentino, Santa Clementina, sott'acqua finirono anche le scuole. A Pantano la zona più bassa della città, l'acqua raggiunse anche i 4 metri, spazzò via i campi, distrusse il vivaio Ciampi lasciando una scia di distruzione ed un silenzio desolante e disarmante. Oggi, rimangono le storie di chi ha avuto il coraggio di ripartire, di chi ha fatto affidamento su se stesso, di chi non ha smesso di nuotare nonostante l’acqua torbida del Calore che ancora oggi attraversa il Sannio.

Quella notte, simile a quella del lontano 1949, furono tante le famiglie costrette a salire sui tetti per rifugiarsi ai piani alti delle case e mettersi in salvo fino all'arrivo dei soccorsi. Trenta le persone che i Vigili del Fuoco salvarono in quelle ore, mentre il fiume è li che giace in silenzio e sugli argini ben poco è stato fatto. Ancora oggi. A distanza di tre anni, le serrande abbassate dei negozi hanno riaperto, alcune a fatica, ma testimoniano che la vita è ripresa. Viaggiando, si notano ancora i danni, i letti dei fiumi mai puliti ed i tronchi. Il fango, invece, quello non lo si nota più. Certo è, che in caso di esondazione, le scene apocalittiche – senza interventi sugli argini e sui fiumi – potrebbero ripetersi.

In provincia, dove la produzione vitivinicola si aggira intorno al 50% di quella di tutta la Campania, furono diversi gli ettari di vigneti distrutti (sono 10mila ne scomparve il 10%). Il danno in campo agricolo fu stimato da Coldiretti intorno ai 120 milioni di euro: 50 per il settore vitivinicolo e 50 per le altre produzioni. Valutabili in 10 milioni di euro i danni alle strutture aziendali e 10 alla viabilità poderale ed interpoderale.

Tonnellate e tonnellate, le pietre che piovvero giù dai canaloni che solcano la montagna del Taburno e che in un attimo spazzarono via la speranza di un raccolto. La melma ed il fango ricoprirono le strade e i campi, l’acqua marcì i sogni di tante piccole aziende agricole travolte dalla piena di un fiume che vomitò per giorni la mancanza di cure, di attenzione, d’affetto. Basta guardarsi intorno, magari recarsi ancora oggi a Solopaca – zona Capriglia – per notare come alcuni scorci siano rimasti identici, sventrati e segnati da quella maledetta notte.

Per la zona industriale e la debole economia sannita già rallentata dalla crisi fu un colpo durissimo. Aspre le polemiche mentre si contavano le vittime: una donna a Pago Veiano uscita da casa per chiedere aiuto, aveva il marito infermo; un uomo colpito da un malore mentre a Montesarchio liberava il seminterrato dal fango ed un operaio 38enne dell’Enel. La forza dell’acqua però non accennò a diminuire anzi, il 20 ottobre la nuova ondata, con le allerte meteo che venivano aggiornate con continuità, provocò ulteriori danni. Nel Sannio si aprì una ferita profonda che tutt’oggi continua a sanguinare. Ci sono ponti e strade ancora non percorribili, voragini ancora aperte, e percorsi alternativi ancora battuti per ovviare al disastro.

A distanza di tre anni, Claudio Ricci, presidente della Provincia è intervenuto per rivendicare il ruolo dell’Ente. “La parte di ricostruzione a noi assegnata è stata completata – ha detto – tranne che per il Ponte Ufita i cui lavori sono stati avviati nei giorni scorsi”.

In città, così come in provincia, oltre all’acqua e al fango nelle strade, si riversò la solidarietà di tantissimi volontari coordinati dalla Protezione Civile e dalla Caritas di Benevento (che nei primi giorni fornì: 7.000 pasti , smistò 559 volontari, assistette 100 famiglie durante le operazioni di spalamento del fango, 40 famiglie con il Centro d’Ascolto). In strada, anche “Gli angeli del fango”, decine di giovani, gli ultras del Benevento, i migranti, gli studenti Erasmus si munirono di pale e badili per liberare, strade, negozi, case, officine, garage, seminterrati dal fango. L’acqua devastò tutto, spazzò via interi manufatti industriali, entrò addirittura tra le botti che serbavano i vini doc della Cantina di Solopaca che seppe risollevarsi grazie alla campagna #sporchemabuone. La furia del Calore e del Tammaro non risparmiarono neanche aziende come la, Wierer, Metalplex, il Pastificio Rummo fu invaso dal fango a risollevarlo la campagna #saveRummo, l’Agrisemi Minicozzi si ritrovò con tonnellate di grano andate perdute (60mila quintali) e l’azienda sott’acqua. Decine i posti di lavoro a rischio in quei giorni e tutelati con tenacia dagli imprenditori. La ripresa economica, e dunque la crescita, nella già sofferente area sannita dopo l’alluvione, stando ai dati dell’epoca, frenò eccome. L’occupazione, secondo Bankitalia, crollò “nei comparti industriale e, soprattutto, agricolo” mentre le ore di Cassa integrazione autorizzate “aumentarono del 10,4 per cento”.

In quei giorni, però, tutto il cuore del Sannio e la sua intelligenza permise al territorio di non annegare. Fu tanto anche il silenzio dei media, oltre che della politica. Il conto generale dei danni fu presentato dall’allora commissario Grimaldi: 1,113 miliardi di euro così distinti: € 758.051.022,50 per danni a opere e strutture pubbliche, € 281.141.441,04 per danni alle attività produttive (ancora oggi c’è chi aspetta il ristoro dal Fondo Nazionale Calamità e Regione) € 71.880.664,41 per danni ai privati. In particolare le imprese industriali che rappresentano il 40% delle aziende danneggiate subì il 93% dei danni. I danni a loro volta si suddividevano in: danni a macchinari e attrezzature: 55%; danni strutturali e funzionali all’immobile: 29%; danni alle scorte di materie prime, semilavorati e prodotti finiti: 16%.

Furono, non solo giorni di dolore ma anche di rabbia: i primi a protestare furono i cittadini che pretendevano risposte, poi fu la volta degli imprenditori e degli agricoltori ribattezzata “la protesta dei 200 trattori”. La costante ancora oggi, quando torni in quei posti è l’amarezza perché dicono “abbiamo ancora paura” o “sul piano della prevenzione non è cambiato nulla”. Già, anche il project financing relativo alla salvaguardia e valorizzazione dello habitat fluviale è rimasto solo un’opportunità. 

M.P.

Speciale alluvione 2015 a Benevento - il Quaderno



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