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21/01/2015 :: 17:0:15

Maria e Yankuba: Benevento, i migranti, l'integrazione e i pregiudizi




Un appuntamento diviso in più capitoli, sul fenomeno dei migranti che anche il Sannio accoglie in numerose strutture. Un viaggio quello che la testata de 'Il Quaderno.it', ha voluto intraprendere per raccontare le storie, fotografare i volti non solo di chi viaggia in cerca di speranza ma anche di chi lavora al proprio fianco e spesso in maniera gratuita insegnandogli una lingua: l’ italiano o il significato di integrazione, convivenza anche attraverso i valori dello sport. Abbiamo deciso di parlarne perché in questi giorni, dopo l’attentato a Charlie Hebdo le cui copie sono andate sold out anche nel Sannio, e l’attacco continuo che subiscono a causa del loro credo religioso ci sembrava troppo triste continuare a pregiudicare le esistenze di esseri umani identici a noi. Abbiamo deciso di parlarne perché è troppo facile uccidere i sogni e le speranze già deboli e ammuffite dall’acqua di quel mare che molte volte è anche l’ultima cosa che vedono i loro occhi.


IL FALSO MITO DEI 'PRIVILEGI'
Iniziamo dallo sfatare un falso mito, quello dei privilegi loro concessi. La quota giornaliera concessa varia dai 25 ai 35 euro al giorno, tale rimborso viene girato direttamente dal Ministero dell’Interno (solo dopo che sono stati stipulati delle sorte di convenzioni ed approvati i ‘progetti’ da parte della Prefettura, con bandi di gara) alle cooperative o alle associazioni che gestiranno l’accoglienza. I 35 euro che vengono stanziati per ogni immigrato, devono bastare, a chi li gestisce, per coprire i costi di vitto, alloggio, pulizia e manutenzione delle strutture, visite mediche, mediazione e assistenza sia legale che culturale. Al rifugiato o al migrante in attesa dello status di rifugiato viene girato un corrispettivo giornaliero o ‘pocket money’ di 2,50 euro al giorno fino ad un massimo di 7.50 euro per un nucleo familiare e una tessera telefonica di 15 euro. A gestire l’emergenza in provincia di Benevento è il ‘Consorzio Maleventum’ che ha quattro strutture (di cui una per minori non accompagnati) e circa 500 posti.


L'ATTIVISMO DI MARIA E L'AVVENTURA DI YANKUBA: 'LA MIA STORIA, DA UN BARCONE A BENEVENTO'
Oggi però vi parleremo di due storie quella di Maria Savoia, 25 anni beneventana e una laurea in Scienze del Servizio Sociale che ha lavorato in varie casa famiglia per minori stranieri non accompagnati come educatrice e di Yankuba. Maria si occupava principalmente di insegnamento della lingua italiana e di attività ludico ricreative: "Le esperienze di lavoro sono terminate a causa delle poche risorse economiche che avevamo a disposizione. Per quanto riguarda i minori, infatti, le rette vengono pagate dai Comuni che affidano il minore alla struttura, quindi ci sono enormi ritardi nei pagamenti (anche di anni). Lavorare senza stipendio naturalmente è frustrante, quindi l'operatore non è lucido e costante nel suo lavoro. Poi problemi economici del genere ti portano a chiusure continue di strutture, operatori che lasciano, altri che vengono ma che durano due mesi. Queste cose naturalmente incidono sui ragazzi ospitati che hanno bisogno anche di figure stabili, punti di riferimento, sicurezze e invece molte volte vengono sballottati da una struttura all'altra, da una città all'altra senza neanche capire perchè. Dove lavoravo io è andata proprio così: alla chiusura, alcuni dei ragazzi sono rimasti a Benevento, un altro è stato trasferito nella provincia di Avellino e altri due sono addirittura stati spostati in Sicilia, perdendo ogni legame che fino a quel momento avevano costruito. E si parla di minori quindi si capisce quanto siano importanti certe cose e quanto siano incisive determinate perdite. Per quanto riguarda l'interazione con loro, le difficoltà stanno soprattutto nel capire di cosa realmente hanno bisogno. Non è solo un tetto sulla testa, un pasto e un documento in tasca, a volte c'è bisogno di molta più cura ed attenzione. Molti di loro hanno passato situazioni infami, guerre, tensioni, lo stesso viaggio nel Mediterraneo è un'esperienza terrificante, di cui noi non abbiamo neanche idea”. Poi Maria ci racconta una scena che gli è rimasta scolpita dentro: “facevo la notte in casa famiglia, da pochi giorni, forse una decina, erano arrivati tre ragazzi africani. Potevano essere le 23:30, loro erano andati a letto quando si sono sentiti un paio di normalissimi "botti". Uno dei tre si è fiondato nel salone dove stavo io, terrorizzato, chiedendomi, un po' in francese, un po' a gesti, se erano bombe. Ecco, questo per farti capire quanto le persone sono segnate dalle esperienze che hanno vissuto e come, assurdamente, l'Italia si propone di accoglierli in strutture di 200, 300 persone, buttandoli in percorsi burocratici lunghissimi, concedendogli tutele fino a un certo punto e poi lasciandoli allo sbaraglio”. Infatti i giovani accolti in una casa famiglia per minori stranieri non accompagnati, una volta compiuti i 18 anni non hanno più diritto a essere ospitati e solo se hanno fatto richiesta d'asilo vengono trasferiti in una struttura per richiedenti asilo, altrimenti devono avere un lavoro o dimostrare che sono alla ricerca dello stesso. Solo così gli viene concesso un permesso di soggiorno per sei mesi, dopodiché sono costretti a vedersela da soli e molte volte diventano braccia e lavoratori senza diritti da sfruttare nei campi. Un lavoro che ha comunque aspetti positivi: “Un mio amico dice che è più bello parlare di interazione che di integrazione, ed ha ragione. Integrarsi vuol dire che c'è un ‘noi’ e un ‘loro’ e che ‘loro’ devono entrare nel ‘noi’. Si cerca di renderli autonomi nel vivere la città di Benevento, facendogliela visitare, raccontandogli la storia, cercando di fargli conoscere spazi e posti che possono fare propri al di fuori della casa famiglia”. È qui che entra in scena Yankuba diciottenne del Gambia che in inglese (anche se parla un discreto italiano) mi dice: “Io come tutti sono partito su di un barcone dalla costa libica, sono sbarcato a Catania e li poi mi hanno affidato ad una casa famiglia per minori qui a Benevento, conoscendo così questa meravigliosa città”. Poi mi dice: “Nessuno qui a Benevento mi ha mai ha fatto sentire abbandonato, mi hanno sempre tratto tutti in maniera carina”. Yankuba è musulmano e gli chiedo se ha sentito parlare degli attacchi terroristici di Parigi e di Charlie Hebdo e mi dice: “Io non posso sostenere chi uccide, tantomeno la violenza, io scappo dalla violenza”. Continua: “Non posso però nemmeno dire di tollerare chi deride la mia religione, perché fa la stessa cosa di chi uccide e usa violenza. Io non mi permetterei mai d’incoraggiare la mia religione per deridere chi ha un credo diverso dal mio, piuttosto scoraggiare”. Yankuba a questo punto mi saluta, ha l’allenamento gioca nella prima squadra di calcio popolare ed antirazzista del Sannio, quell’Atletico Brigante che milita nel campionato di terza categoria e che accoglie senza distinzione stranieri ed italiani. Yankuba frequenta anche la scuola "Oltre Confine", ci dice Maria “scuola che nasce proprio dall'esperienza dell'Atletico Brigante, l'idea nasce dalla convinzione che l'interazione è lo strumento principale per far vivere bene ed insieme culture e soggetti diversi. E la lingua è lo strumento principale per interagire. Oltre confine (i corsi si tengono al 'Depistaggio' in via Mustilli a Benevento) però non vuole essere la classica scuola di italiano in cui l'insegnamento della lingua è il fine ultimo. Vuole essere spazio di conoscenza reciproca, di incontro, di interazione e di scambio. Per questo l'intenzione è quella di affiancare alle lezioni anche attività come visite guidate per la città, cene sociali, parlare di storia, geografia, politica. Questo perché le scelte politiche italiane stanno portando ad una marginalizzazione sempre più forte di migrante, con retoriche che lo vedono sempre più spesso ‘l'estraneo’ o ‘il pericoloso’. Vogliamo con Oltre Confine combattere anche queste derive xenofobe e razziste, che purtroppo sempre più presenti”. I corsi della scuola, sono totalmente gratuiti ed autogestiti, si effettuano il lunedì e la domenica dalle 18 alle 20, proprio per andare incontro alle esigenze di chi la frequenta. La storia di Yankumba forse è simile a quella di migliaia di altri giovani, l’attivismo ed il lavoro continuo di Maria è simile a quello di migliaia di volontari ogni giorno si mettono al servizio di chi è ritenuto emarginato, ma sono le storie di un Sannio diverso, altro che sa accogliere, dialogare, intraprendere e difendere anche i diritti di chi non ne ha. È la storia di chi non riceve contributi, di offre se stesso e non pocket money, è la storia di chi crede in un mondo unito e sincero, fraterno, pacifico. Di ragazzi, minori non accompagnati come Yankuba nel solo arco temporale gennaio-ottobre 2014 ne sono giunti in Italia 11.507. Di migranti invece oltre 160 mila e forse non serve “tirare una linea su Lampedusa” o far affogare i sogni in mare, innalzare muri per fermare un afflusso continuo, disperato. Forse servirebbe aprire dei corridoi umanitari ed insegnare che la vita è un diritto come la libertà d’espressione.

Michele Palmieri

Ultima modifica 21/01/2015 alle ore 21:27

Si aiutiamo tutto il mondo, tanto i soldi li diamo noi, siamo noi che paghiamo con le nostre tasse tutti questi centri di accoglienza. Poi però ci accorgiamo che lo Stato non ha i soldi per coprire i costi del trasporto pubblico, della sanità, dei servizi sociali, delle scuole ed allora si taglia. Le spese per gli immigrati aumentano di anno in anno, quelle per i poveri cittadini italiani ridotti in miseria di riducono sempre più. Aiutiamo tutti ma a noi chi ci aiuta? Franco   Rin. -  - 

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