Benevento, 'Giornata della memoria' in ricordo di Giovanni Borromeo: un uomo, un giusto

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Nostro servizio - Ieri mattina, presso l’auditorium “Giovanni Paolo II” del Seminario Arcivescovile di Benevento, l’Istituto Scolastico “De La Salle” ha ospitato Pietro Borromeo, figlio di Giovanni che inventò il “Morbo di K” per salvare gli ebrei dai nazisti. L’incontro è stato organizzato per celebrare il “Giorno della Memoria”, ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 per commemorare le vittime del nazismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati.

La cerimonia è stata inaugurata dalle alunne del Conservatorio Nicola Sala Gabriella Rosato al violino e Mara Leone al pianoforte con un’interpretazione musicale della “Ballata di Ravel” e delle colonne sonore di “La vita è bella” e di “Schindler’s List”. Durante l’incontro sono intervenuti Maria Gabriella Della Sala, direttore del Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento, Raffaele Del Vecchio, assessore alla Cultura del Comune e don Franco Piazza, docente dell’Università del Sannio. A moderare il confronto è stata la giornalista Enza Nunziato che, dopo aver ringraziato i presenti, ha voluto ricordare come questa manifestazione sia sentita e partecipata ormai da moltissimi anni.

“L’antisemitismo – ha affermato Nunziato - ha avuto come suo punto estremo la Shoah ma continua anche oggi attraverso i negazionisti che negano la tragedia degli ebrei. La conoscenza di quegli orribili eventi non basta, serve anche la ‘Memoria del Bene’ che fu inventata da Moshe Bejski salvatosi grazie alla lista di Schindler, bisogna ricordare le persone che si sono ribellate al male estremo”. “Nei lager – ha continuato Maria Gabriella Della Sala – c’erano dei gruppi di compositori musicali, ciò testimonia la funzione aggregante e di speranza che la musica ha svolto anche in quei luoghi e in quei durissimi anni. La musica può arrivare dove la poesia, il teatro possono trovare terreno arido”.

L’assessore Del Vecchio, invece, ha ringraziato Pietro Borromeo “figlio di un giusto. Giovanni Borromeo: un medico che è rimasto uomo, che ha conservato la propria umanità in un momento di follia. Non c’è un motivo per giustificare ciò che è accaduto 70 anni fa, una follia che non ha risparmiato neanche il nostro Paese. I giovani di oggi sono troppo distanti da quegli avvenimenti, è importante far acquisire loro la memoria dei giusti attraverso questi testimoni di cui abbiamo l’onore e il piacere di avere con noi. Bisogna trasmettere loro valori corretti e giusti; la musica de ‘La vita è bella’, precedentemente eseguita, ha subito provocato un sussulto nei ragazzi perché è stato un film che con sensibilità e anche con un sorriso ci ha immesso in una realtà dura e difficile com’è stata quella dei campi di concentramento”.

“I memores – ha ricordato don Franco Piazza – si assumono la responsabilità di costruire il futuro perché la ‘Giornata della memoria’ non vuol dire soltanto ricordare l’accaduto ma poter creare una prospettiva di vita migliore. Il male e il bene hanno ognuna una propria normalità, ma è la creatività a fare la differenza perché nasce dalla passione della vita quotidiana. Giovanni Borromeo è stato geniale perché era un uomo che viveva con passione la sua vita. I giovani devono diventare dei cultori di pace e giustizia, e capire che queste parole non esistono solo sul dizionario”. “Mi rivolgo ai ragazzi – ha esordito Borromeo – perché i libri di storia non bastano, ciò che vi è scritto è freddo, si dimentica e non si vive. Io, invece, a quell’epoca ero un bambino e ho assistito all’addio tra mia madre e mio padre che mi si è scolpito nella memoria.

Era un’epoca in cui la dittatura era talmente forte che chi non aveva la tessera del partito non poteva esercitare la professione. Infatti, mio padre, che era sempre stato antifascista, non poté divenire primario in nessun ospedale di Roma. Poi lo divenne presso l’ospedale Fatebenefatelli dell’Isola Tiberina, che non faceva parte degli ospedali pubblici e all’epoca era utilizzato come casa di cura privata. Di fronte alle leggi razziali, mio padre s’indignò come uomo e come scienziato perché sapeva che era una sciocchezza, un’idiozia. Poi le leggi razziali ebbero una feroce applicazione e di 2500 ebrei ne tornarono solo 15, gli altri tutti sterminati. Per mio padre il Giuramento di Ippocrate costituiva il dovere del medico di salvare quante più vite umane la provvidenza lo metteva in contatto. Poi ebbe il colpo di genio che lo rende unico perché furono in molti a salvare gli ebrei ma, nessuno come lui inventò una malattia. Per fare ciò ci voleva un grande sapere medico anche perché doveva dimostrarne la veridicità con tanto di sintomi, decorso ed esiti ai più importanti medici che lavoravano per le SS.

Noi romani amiamo lo sfottò, così mio padre la chiamò ‘Morbo di K’ che poteva stare sia per Kesserling, nome del capo delle truppe tedesche a Roma, che per Kappler, ufficiale tedesco delle SS a Roma. Un giorno mio padre ricevette una chiamata da Roberto Lordi, ex ufficiale d’aviazione, poi diventato rifornitore di polvere da sparo per i partigiani. Fu scoperto e così chiamò mio padre (chiamata che fu all’origine dell’addio tra i miei genitori perché lui pensava di essere stato scoperto per dirgli che era stato arrestato e che sarebbe stato presto torturato per rivelare i nomi dei complici). Disse a mio padre di imparare a memoria una lista di nomi e recapiti e di avvertire tutti di mettersi in salvo, fu così che salvò centinaia di ebrei. In pratica, mio padre ricoverava gli ebrei con il Morbo di K e poi li faceva uscire con una nuova identità.

Un giorno fu avvertito di un’incursione a sorpresa da parte delle SS per controllare i malati del Fatebenefatelli, ma lui si limitò a rassicurare i malati dicendo di non dire niente e di tossire soltanto, avrebbe fatto tutto lui. Al momento dei controlli bastò giustificare la sigla K scritta sulle cartelle cliniche dei ricoverati con il morbo di Koch, quello della tubercolosi che spaventava tanto i tedeschi, per far scappare le SS ‘con le pive nel sacco’. Questa geniale invenzione permise a mio padre di salvare molti ebrei. La dittatura portò all’idiozia, eliminando il libero arbitrio dell’uomo che nasce libero e la cui libertà non va mai calpestata”.
Michaela Adamo



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