I colpi delle Brigate Rosse ammazzarono due beneventani

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Sembrava finita venticinque anni fa, con quel colpo di coda che costò la vita all’assessore regionale Raffaele Delcogliano e al suo amico autista Aldo Iermano, i due beneventani ammazzati dalle Brigate Rosse il 27 aprile 1982 in Viale Colombo a Napoli. E invece, un quarto di secolo dopo, le tesi dell’ “ala movimentista”, la più sanguinaria organizzazione terroristica, denominata anche “il partito guerriglia”, ricompaiono al Nord, in una formazione eversiva che, secondo i magistrati e il ministro dell’Interno Giuliano Amato, era pronta per compiere attentati.

Si risvegliano sulle cronache di questi giorni, e con l’inchiesta della Procura di Milano sulle nuove Brigate Rosse, gli incubi di un passato violento che ferì profondamente la Campania e Benevento, di una scellerata stagione che mise fine alle aspirazioni del giovane politico democristiano sannita. Voleva riformare il mondo del lavoro e, come Massimo D’Antona e Marco Biagi dopo di lui e tanti prima, pagò con la vita la sua determinazione nel portare avanti un progetto di revisione dei corsi di formazione professionale. Aveva trentotto anni Delcogliano e, da soli sei mesi, era assessore al Lavoro nella giunta bis del democristiano Emilio De Feo.

Esponente dei dorotei, e della Coldiretti sannita, voleva abolire trecentocinque corsi di formazione inutili, di fatto strumenti clientelari per erogare veri sussidi di disoccupazione che non avrebbero mai risolto il problema dell’inserimento per decine di migliaia di persone, in cerca del posto di lavoro. Un programma lungimirante per l’epoca, fuori dal coro delle frasi fatte. Con l’attentato di Viale Colombo, le Br spezzarono due vite, prima di tutto, ma anche la speranza di un riscatto per la Campania messa in ginocchio dal terremoto. In quei pochi mesi in cui aveva ricoperto il ruolo di assessore, Delcogliano aveva intravisto nella riforma della formazione professionale una possibile soluzione per la piaga della disoccupazione. Lo faceva con passione, senza temere di essere un bersaglio dell’eversione.

“E chi sono io? Figuriamoci se le Brigate Rosse pensano proprio a me”, aveva detto agli amici la sera prima dell’agguato. Su questo versante, forse il suo amico Iermano aveva visto più avanti di lui, perché nonostante fosse un uomo pacifico e per niente esaltato, s’era voluto far dare il porto d’armi e una pistola, così come Delcogliano aveva confidato a un giornalista del Mattino, qualche settimana prima dell’agguato. Le Brigate Rosse in quei mesi erano ormai allo sbando. A febbraio 1982 il leader della colonna napoletana Giovanni Senzani, il criminologo toscano protagonista del sequestro dell’assessore regionale all’Urbanistica, Ciro Cirillo, e della scissione interna alle Br con l’ala militarista di Antonio Savasta, attiva al Nord, era in carcere da un mese. Il dissenso era sorto perché Senzani aveva accettato la trattativa per liberare Cirillo e il riscatto di un miliardo e mezzo di lire fatto arrivare alle Br. Eppure, i brigatisti latitanti in Campania avevano ancora la forza di mettere a segno attentati. A febbraio 1982 assaltarono la caserma Pica a Santa Maria Capua Vetere e rapinarono armi e fucili da guerra.

L’attentato a Delcogliano era stato pianificato già a gennaio, ma nel gruppo c’era aria di smobilitazione, tra voglia di uscire dalla lotta armata e ultimi ripensamenti. I colpi inferti alle altre colonne nel paese si facevano sentire e la legge sui collaboratori di giustizia, con sconti di pena e benefici vari, era particolarmente allettante. Nonostante questo, la colonna napoletana resistette per qualche mese di troppo, il tempo necessario per uccidere ancora. Delcogliano e Iermano furono oltretutto sfortunati. Il piano per aggredirli fu tentato almeno cinque o sei volte. Ma in un caso un brigatista non ebbe il coraggio di bloccare l’Alfetta blindata che transitava in Via Marina. In un altro, in preda a mille dubbi, disse ai suoi compagni che aveva dimenticato le chiavi dell’auto necessaria a sbarrare la strada. Un’altra volta inventò la storia che s’era svegliato tardi. Infine, dichiarò apertamente che era contrario all’azione e i capi lo misero in disparte a fare “autocritica”. Anche un suo compagno in seguito ebbe ripensamenti: incaricato di prendere il suo posto nel gruppo di fuoco, la sera prima di andare a sparare all’assessore, telefonò alla polizia e si fece arrestare. Ma non raccontò nulla del piano, evitò di smascherare i complici che, imperterriti, proseguirono con gli appostamenti fino a quando, la mattina del 27 aprile, il commando entrò in azione.

Spararono in tre: Anna Cotone e Natalia Ligas, poco più che ventenni. Ed Emilio Manna, un ex operaio. Alla guida della 128 che bloccò l’Alfetta guidata da Iermano c’era Vincenzo Stoccoro. Ecco una parte del suo racconto dell’agguato, riportato nella sentenza di primo grado della Quarta sezione della Corte d’assise di Napoli: “Io prendo posto in macchina, con i compiti che furono di Acanfora (Mauro Acanfora, il brigatista che si era fatto arrestare, NDR). Sono armato di Sterling, mia moglie (Anna Cotone, NDR) mi sostituisce nel ruolo di copertura, armata di sterling; Ligas e Manna, armati di Garand, sono impiegati nell’uccisione di Delcogliano e del sua autista Lermano. Quest’ultimo venne ucciso non solo perché armato, ma per il solo fatto di prendere posto sul blindato; se fossero state trovate altre persone sull’auto, anche se innocue, sarebbero state ugualmente ammazzate, salvo che si fosse trattato di donne”.

E’ una confessione agghiacciante che lascia traspirare tutta la ferocia del “partito guerriglia”. D’altronde il capitolo napoletano delle Brigate Rosse fu caratterizzato da agguati altrettanto sanguinosi. Maggio 1981: Pino Amato, assessore regionale, fu ucciso a colpi di pistola. Aprile 1981: durante il sequestro di Ciro Cirillo furono uccisi il suo autista Mario Cancello e il brigadiere della polizia Luigi Carbone e fu ferito Ciro Fiorillo, segretario del politico democristiano. Luglio 1982, dopo l’attentato a Delcogliano e Iermano, furono ammazzati il capo della squadra mobile di Napoli Antonio Ammaturo e l’agente Pasquale Paola. Agosto 1982: durante l’assalto a un convoglio dell’esercito a Salerno, i brigatisti assassinarono Antonio Bandiera e Mario De Marco, due agenti di polizia.
Luigi Grimaldi



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