L'Opinione. Inflazione, la tassa occulta che piace allo stato

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Probabilmente non tutti ricordano i tempi in cui l'Italia viaggiava con un'inflazione a 2 cifre. Erano i "meravigliosi anni della lira". I Governi dell'epoca facevano crescere il debito pubblico, il sistema paese viveva al di sopra delle proprie possibilità e lo stato copriva molti costi del sistema pubblico, come pensioni e stipendi, con il debito.

Una situazione che non poteva perdurare all'infinito. Infatti nel 1993 l'Italia, ma anche l'Inghilterra, furono sottoposte ad un fuoco di fila da parte dei mercati finanziari, che costrinsero il governo a svalutare la nostra moneta. In sostanza la nostra era un'economia fragile e la nostra moneta ne era lo specchio, protetta dall'ombrello degli accordi europei e con l'ECU (l'unità di conto monetaria, embrione dell'Euro) come debole baluardo. Oggi, con l'Inghilterra in uscita dall'UE e le avvisaglie di quanto sta per abbattersi sulla sua economia, probabilmente i detrattori dell'Euro inizieranno a riflettere pacatamente sui fatti, piuttosto che legarsi al nostalgico ricordo emotivo del "era meglio la Lira". L'Euro, infatti, significa una moneta solida, l'UE dei 27, un'economia unica e (al momento) coesa, che ammortizza gli scossoni valutari dei paesi in crisi (vedi la Grecia). Da non confondere quindi con gli effetti speculativi determinati con il passaggio all'euro e la crescita dei prezzi che si è registrata in Italia.

Nell'analisi del professor Tommaso Monacelli, partiamo quindi dalla tassa occulta dell'Inflazione, per comprendere e ricostruire ciò che il populismo non dice e volutamente nasconde.

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L’inflazione non comporta solo l’aumento del prezzo di beni e servizi consumati dalle famiglie. Ha soprattutto effetti redistributivi. Per questo una fiammata inflazionistica dovuta all’uscita dall’euro e al ritorno alla lira avvantaggerebbe soprattutto lo stato, a danno delle famiglie.

Effetto redistributivo

Generalmente si pensa all’inflazione come mero aumento del costo di beni e servizi consumati dalle famiglie. In realtà i suoi effetti più importanti sono sottili, poco visibili, e sono di natura redistributiva. In ogni economia esiste una distribuzione aggregata della ricchezza tra debitori e creditori. Un debitore detiene una posizione finanziaria netta (cioè la differenza tra attività, ad esempio depositi in banca, e passività, ad esempio un mutuo) negativa, mentre un creditore detiene una ricchezza finanziaria netta positiva. Poiché la quasi totalità della ricchezza finanziaria netta è espressa in termini nominali (cioè in Euro) è anche soggetta al rischio di vedere il proprio valore reale (espresso non in Euro ma in unità di beni) eroso dalla salita dei prezzi.

Ciò è positivo per un debitore, ma è negativo per un creditore. Perciò variazioni al rialzo nel livello generale dei prezzi determinano una redistribuzione reale di ricchezza dai creditori a favore dei debitori. Al contrario, periodi di deflazione, cioè di discesa del livello generale dei prezzi, determinano una redistribuzione che favorisce i creditori. Ecco perché la deflazione è un fenomeno particolarmente dannoso durante periodi di crisi causati da un eccesso di accumulazione di debito. Questo spiega anche la preferenza delle banche centrali per mantenere stabile l’inflazione, proprio per evitare redistribuzioni di ricchezza in una o nell’altra direzione.

Quanto è rilevante, dal punto di vista quantitativo, l’effetto redistributivo dell’inflazione? E soprattutto, quali agenti (settori) dell’economia colpirebbe e favorirebbe? Quali paesi della zona euro in particolare? La tabella 1 presenta alcuni dati di sintesi sulla posizione finanziaria netta (riferita al 2010) dei due settori principali: “famiglie” e “settore pubblico”. I dati sono estrapolati da uno studio di Klaus Adam e Junyi Zhu e si riferiscono alla zona euro, nel dettaglio all’Italia e, come termine di paragone, alla Germania. La posizione finanziaria netta è riportata sia in termini di euro pro capite che in percentuale del Pil.

Tabella 1 – Posizione finanziaria netta riferita al 2010


Fonte: Adam and Zhu 2014

Tre aspetti sono particolarmente rilevanti. Primo, la posizione finanziaria netta è espressa in termini nominali. Secondo, il settore pubblico, essendo generalmente un debitore (emette sistematicamente debito pubblico), ha una posizione finanziaria netta negativa; mentre il settore famiglie ha generalmente una posizione finanziaria positiva. In sintesi: il grande debitore, nell’economia, è lo Stato.

Il grande creditore è il settore delle famiglie. Sarebbe quindi lo Stato a beneficiare in modo sostanziale da un incremento del livello dei prezzi e il settore delle famiglie invece a subirne una perdita. Terzo, esiste eterogeneità tra i paesi della zona euro. In termini netti il settore pubblico italiano è molto più indebitato di quello tedesco. E le famiglie tedesche hanno ricchezza nominale netta positiva più grande di quella delle famiglie italiane. Ecco perché le famiglie tedesche avversano così tanto l’inflazione.

Chi perde e chi vince

Quale sarebbe l’effetto sulla ricchezza reale di un inatteso incremento del livello dei prezzi del 10 per cento? Stiamo qui immaginando un rialzo una tantum del livello dei prezzi, con un tasso di crescita (l’inflazione) che dopo la momentanea accelerazione ritorna al livello precedente. In altri termini: l’aumento del livello dei prezzi è permanente, mentre quello dell’inflazione è puramente temporaneo.

Dalla tabella è immediato dedurre che in Italia il settore famiglie subirebbe una perdita pro capite di 810 euro (8100/10) mentre il settore pubblico avrebbe un guadagno di 2320 Euro pro capite (23200/10). I dati in percentuale del Pil sono ancora più significativi. Il settore famiglie subirebbe una perdita del 3,5% del Pil, cioè circa 58 miliardi di euro; mentre il settore pubblico otterrebbe un guadagno del 10% del Pil, cioè di circa 167 miliardi di euro. Una redistribuzione di ricchezza ingente. Una tassa occulta ben più grande di presunte patrimoniali mai ipotizzate finora.

È bene tenere conto di questi numeri quando si immaginano dilettanteschi scenari di uscita dell’Italia dall’euro. Piaccia o no, è pressoché inevitabile immaginare che il ritorno alla lira, e la conseguente svalutazione, porterebbero a una fiammata inflazionistica. Magari, nel migliore degli scenari, contenuta e puramente temporanea, esattamente come nel nostro esempio. Ma anche in questo roseo scenario, è bene essere consapevoli del fatto che i veri perdenti sarebbero le famiglie italiane; e il trionfatore più sardonico sarebbe, ancora una volta, lo stato.

Tommaso MonacelliProfessore ordinario di Economia all'Università Bocconi di Milano, e Fellow di IGIER Bocconi e del CEPR di Londra. Tratto da www.lavoce.info, per gentile concessione



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