La situazione dei centri di accoglienza nel Sannio, ecco il dossier di Oltreconfine

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I centri di accoglienza sono distanti dai centri abitati e la mancanza di dialogo non favorisce l'integrazione, le condizioni di vivibilità dei centri sono accettabili, i tempi lunghi per il riconoscimento degli status sono legati alla burocrazia. Ecco alcuni dei tempi trattati nel report sui centri di accoglienza nel Sannio. 

Presentato stamani alla Rocca dei Rettori il report stilato da Oltreconfine – scuola d’italiano per migranti una iniziativa presa all’interno della campagna nazionale contro la detenzione amministrativa dei migranti “LasciateCIEntrare” con il sostegno di Sinistra Ecologia e Libertà, il Centro Sociale Autogestito Depistaggio,  Exit Strategy, Mobilitazione Generale degli Avvocati, Unione degli Studenti, FabBene Progetto Civico e l’Arci Benevento. A presentare il report sono stati Erminio Fonzo e Federica De Nigris per Oltreconfine e Cosimo Pica dell’Atletico Brigante la formazione antirazzista nata in città due anni fa.

“In provincia di Benevento – spiegano – la situazione dell’accoglienza è eterogenea. In qualche caso i centri di accoglienza rispettano quasi completamente il contratto d’appalto (bando della Prefettura di Benevento prot. n. 28351 del 15 settembre 2015), ma in molte occasioni si sono riscontrate inadempienze. Dal punto di vista dell’alloggio, i problemi maggiori sono il sovraffollamento di alcuni centri di accoglienza e l’ubicazione di molti di loro in zone isolate e difficili da raggiungere”.

Queste strutture così decentrate potrebbero mette a rischio anche l’integrazione. “In questi casi – sottolineano – l’inclusione socioculturale dei richiedenti asilo si rivela impossibile, giacché hanno difficoltà a raggiungere i centri urbani e a entrare in contatto con persone del posto. Inoltre, le dimensioni di alcune strutture (che ospitano fino a 130 persone) rendono difficile la convivenza. Un ulteriore ostacolo all'inclusione socio-culturale è il predominante atteggiamento di indifferenza delle popolazioni locali: gli abitanti delle comunità, infatti, difficilmente dialogano in maniera costante e costruttiva con i richiedenti asilo. Circa il vitto, le situazioni più soddisfacenti sono quelle nelle quali i richiedenti asilo hanno la possibilità di cucinare da sé i pasti. Negli altri casi si registrano lamentele per la scarsa varietà del cibo. In nessun caso, però, si sono riscontrate carenze gravi nella fornitura dei pasti”.

Per quanto riguarda invece l’erogazione del pocket money: 2.50 euro al giorno, “risultano regolari dappertutto; ritardi e carenze si riscontrano nella fornitura dei vestiti e degli altri beni previsti dal contratto di appalto. Il personale è spesso poco esperto e non adeguatamente formato, sebbene non manchino eccezioni significative. In diversi casi, inoltre, il personale è insufficiente. Dal punto di vista dell’assistenza sociosanitaria, la situazione è piuttosto eterogenea, ma in tutti i casi i richiedenti asilo sono assisti in caso di ricoveri in ospedale; tutti, inoltre, dispongono di un medico, almeno sulla carta. Non sempre, però, i richiedenti asilo sono in condizioni di fruire dei servizi che sono loro offerti. Molto spesso l’insegnamento della lingua italiana è deficitario e solo rarissimamente produce effetti apprezzabili, giacché la maggior parte dei richiedenti asilo non è in grado di parlare in italiano, nemmeno in maniera rudimentale”.

Sull’apprendimento dell’italiano pesa anche, “l'assenza di un dialogo costante con la popolazione locale priva i richiedenti asilo di ogni interesse ad apprendere la lingua italiana. Anche l’orientamento legale è spesso carente, giacché molto spesso i richiedenti non sono informati sul loro status e sulla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale”.

Nel report inoltre si fa riferimento anche alla burocrazia. “Per quanto riguarda la burocrazia e atteggiamento degli enti locali la situazione è abbastanza varia: alcuni comuni (tra i quali Benevento) iscrivono i richiedenti asilo nelle liste anagrafiche e rilasciano loro la carta di identità con pochi problemi; in altri casi sono frapposte difficoltà. La cosa crea delle tensioni, giacché il permesso di soggiorno è sempre meno accettato come documento di riconoscimento. Si ricorda, in proposito, che l’iscrizione anagrafica e il conseguente rilascio della carta di identità sono diritti riconosciuti dalla legge (d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286; Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 novembre 2011 n. 3982). Il permesso di soggiorno semestrale per richiesta di asilo è rilasciato regolarmente, ma spesso è consegnato in ritardo dalla Questura. Dal punto di vista dell’integrazione economica, è noto che in base alla legge (d. lgs. n. 142 del 18 agosto 2015) i richiedenti asilo hanno diritto a lavorare dopo due mesi di permanenza sul territorio. Nessun richiedente, però, ha un lavoro regolare”.

Infatti alcuni fanno lavori saltuari, in genere sottopagati, “ed è diffusa – scrivono nel report – soprattutto nel capoluogo, l’abitudine di chiedere elemosine. Il problema maggiore è dato dalla lunga attesa per ottenere il riconoscimento della protezione internazionale. In genere la convocazione per il colloquio con la Commissione territoriale di Caserta arriva dopo 6-8 mesi di permanenza e per l’espletamento della procedura è necessario un anno o quasi, nonostante la legislazione europea preveda un tempo massimo di sei mesi (Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013). Inoltre, la Commissione di Caserta respinge quasi tutte domande di asilo (i respingimenti sono pari a circa l’80%, mentre la media nazionale è di poco superiore al 60%); il Tribunale civile di Napoli ribalta molto spesso le decisioni e garantisce una forma di protezione. Questo, però, comporta, un’altra lunga attesa. In sostanza, i richiedenti asilo non sono costretti al rimpatrio, se non in casi eccezionali, ma devono aspettare anni per definire il loro status legale”.

Ma per tutta la durata della procedura dove risiedono? “Continuano a risiedere nei centri di accoglienza, con possibilità minime di trovare lavoro. Si consideri che i richiedenti – si legge nel dossier – sono persone nel pieno sviluppo delle facoltà umane (in larga parte sono giovani tra 18 e 30 anni) e che nei loro Paesi di origine sono abituati a lavorare sin all’adolescenza. Molti di loro, inoltre, hanno raggiunto l’Europa sulla base di una precisa strategia familiare, per la quale un membro della famiglia, sostenuto finanziariamente dagli altri componenti, emigra per sostenere dall’estero chi è restato in patria. Per queste ragioni i richiedenti dovrebbero essere messi in condizioni di poter gestire autonomamente la propria vita, cercando da sé i mezzi di sussistenza. Questa, del resto, è l’aspirazione dei richiedenti stessi, che si dichiarano in maniera pressoché unanime interessati a uscire nei tempi più brevi possibili dai centri di accoglienza per poter cercare lavoro e vivere in maniera autonoma. Si eviterebbe, in tal modo, di lasciare in un limbo di incertezza decine di migliaia di persone che potrebbero contribuire in maniera significativa al progresso del territorio che li ospita così come, attraverso le rimesse, allo sviluppo del proprio Paese di origine. Il sistema dell’accoglienza e dell’asilo, pertanto, andrebbe riformato radicalmente”.

Gli attivisti inoltre lanciano anche alcune proposte, rivolte alla Prefettura di Benevento e ai comuni, realizzabili con un dispendio minimo di risorse umane e finanziarie. “Snellire e uniformare le pratiche burocratiche; garantire maggiore puntualità nella consegna dei permessi di soggiorno. - Rendere più facile l’accesso ai centri di accoglienza e più frequenti i controlli. - Tenere conto delle dimensioni e dell’ubicazione delle strutture, nonché della mobilità dei richiedenti asilo, nelle prossime gare d’appalto. - Attivare uno sportello (o un numero verde) per i richiedenti asilo. Attivare strumenti per l’inclusione socio-culturale dei richiedenti asilo, anche in collegamento con l’associazionismo e con i gruppi sportivi. - Favorire il dialogo interculturale e la comprensione dei fenomeni migratori, anche mediante l’utilizzo della memoria dell’emigrazione italiana”.



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