Alain Elkann presenta a New York il romanzo “Pound’s Silence”

NEW YORK (ITALPRESS) – All’Istituto Italiano di Cultura di New York è stata presentata la traduzione inglese del romanzo di Alain Elkann, Pound’s Silence, edito da Bordighera Press. In dialogo con Anthony Tamburri, Dean del Calandra Italian American Institute (CUNY), e con la moderazione del direttore Claudio Pagliara, l’autore ha discusso l’enigma di Ezra Pound: il poeta modernista che fu anche fascista e antisemita, internato dagli Stati Uniti come traditore e poi ritiratosi nel celebre “silenzio” veneziano.

Ad aprire l’incontro è stato il Console Generale d’Italia a New York, Fabrizio Di Michele, che ha definito la scelta di Elkann «un argomento molto audace», ricordando come, quando si parla di Pound, «le persone di cultura… riconosceranno un grande artista, un grande poeta», mentre per il pubblico più largo la memoria vada subito al suo «impegno e convinzioni politiche a sostegno del fascismo». Da qui, ha detto, nasce «un dilemma molto interessante»: come confrontarsi con l’opera di un grande artista e, insieme, con le sue convinzioni.

Pagliara ha introdotto autore e libro come un’indagine “sul silenzio” di un poeta che aveva parlato tantissimo attraverso la poesia, e Tamburri ha raccontato la linea editoriale di Bordighera Press, nata per dare voce a chi non trovava spazio nei grandi editori. Proprio Tamburri ha messo a fuoco la chiave del titolo: «l’ambiguità del titolo è assolutamente meravigliosa», perché può riferirsi «sia al silenzio di Pound» sia «al silenzio che circonda Pound». Per il pubblico, ha aggiunto, il romanzo è «un puzzle letterario realizzato in modo eccellente».

Elkann ha spiegato la genesi del libro come una ricerca – personale e letteraria – del genio: «Sono sempre stato molto triste di non essere io stesso un genio», ha detto con ironia, ricordando come lo abbia affascinato la figura di Pound tra Londra e Parigi, poi a Rapallo, e infine il crollo etico-politico dei discorsi radiofonici. Di qui l’intuizione narrativa: «Il suo silenzio è la sua ultima opera maestra». Non un’assoluzione, ma la constatazione che il tacere finale del poeta – dopo la prigionia a Pisa e l’internamento a St. Elizabeths – resta un enigma estetico e morale.

L’autore ha rivendicato la natura finzionale dell’opera: «Sono uno scrittore di narrativa», ha detto senza giri di parole; e ancora: «Il mio Pound è un Pound fittizio», precisando che l’invenzione poggia su una documentazione accurata di luoghi, tempi, biografie. La sfida non è scrivere una biografia, ma trasformare una figura reale in personaggio letterario, custodendone le ambiguità senza ridurle a tesi.

Nel dialogo, Tamburri ha insistito sulla leggibilità del libro anche per chi non è specialista, sottolineandone la struttura “a incastro” — il protagonista che cerca Pound, immagina di parlargli, lo rincorre tra carte, amici, ricordi — e il fatto che il romanzo tenga il lettore “sulle punte” mentre decide come colmare gli spazi bianchi di quel silenzio.

La discussione è rimbalzata poi sulla domanda che attraversa il Novecento: si può separare l’opera dall’uomo? Elkann non ha offerto una soluzione univoca — non era questa la sua ambizione — ma ha rimesso al lettore la fatica del giudizio. Il romanzo mostra Pound nei luoghi e nei gesti dell’ultimo tratto di vita, senza proclami: il silenzio come maschera, difesa, forse atto estetico estremo. «C’è qualcosa di molto poetico nello stare in silenzio», ha osservato; un’ambiguità che non è trucco ma forma di verità letteraria.

xo9/mgg/gtr (video e interviste di Stefano Vaccara)


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