L’analisi dei dati sui prezzi dei carburanti porta a escludere l’ipotesi di speculazione. I rincari derivano dalla decisione politica di non rinnovare lo sconto sulle accise. È una scelta da non condannare, ma non vanno ignorati i costi sociali ed economici.
La discussione sulla presunta speculazione nel mercato dei carburanti riempie le prime pagine dei giornali. Può essere utile, perciò, riepilogare rapidamente le questioni più importanti e fare un punto chiaro sulla situazione. Punto che ci porterà ad argomentare che non c’è una prova evidente dell’esistenza di speculazione, termine che andrebbe peraltro definito in modo chiaro.
Il prezzo lordo alla pompa di benzina, gasolio e Gpl è dato dalla somma di tre componenti:
1. prezzo del carburante al netto delle imposte (che deve coprire una quota denominata Platt’s raffinati, ossia il costo che il distributore deve pagare alla compagnia fornitrice, e il ricavo o margine industriale, ossia il ricavo lordo dei distributori e dei benzinai, che a sua volta deve remunerare i costi di gestione e i lavoratori). Questo valore è talvolta chiamato prezzo Fob Rotterdam oppure prezzo ex refinery gate.
2. accisa (quota fissa al litro)
3. Iva al 22 per cento (calcolata sulla somma di prezzo netto e accisa).
Fatto 100 per cento il prezzo lordo alla pompa (sia benzina che gasolio), le imposte (accise + Iva) pesano circa per il 53-57 per cento, mentre il prezzo netto è tra il 43 e il 47 per cento.
Il 21 marzo 2022 è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto legge del governo Draghi denominato “Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”. Al suo interno trova spazio un intervento sul prezzo dei carburanti. In particolare, vengono ridotte le accise su benzina e gasolio di 0.25€litro/€, più Iva pari a 0.305€/litro.
In base al decreto, le accise su benzina, diesel e Gpl in vigore fino al 30 novembre 2022 sono state stabilite in:
Corrisponde al vero il fatto che la prima legge di bilancio del governo Meloni (dicembre 2023) destina la maggior parte delle risorse alla lotta al caro-energia (circa 21 miliardi su 35 complessivi). Al contempo, però, vengono cancellati gli sconti sulle accise introdotti a marzo dal governo Draghi.
La cancellazione era già stata preceduta da una riduzione degli sconti dal 1° al 31 dicembre 2022 (decreto legge con “Misure urgenti in materia di accise e Iva sui carburanti”. Per il metano auto era invece confermato l’azzeramento dell’accisa – che comunque era minima – e l’Iva ridotta al 5 per cento fino al 31 dicembre 2022).
I valori delle accise in vigore dal 1° al 31 dicembre 2022 erano infatti:
A partire dal 1° gennaio 2023 si torna al regime di accise precedenti al 22 marzo 2022. L’aumento delle accise è quindi pari a 0.150€/litro (0.183€/litro con Iva al 22 per cento). Tenendo conto di questo aumento, al 5 gennaio 2023, il prezzo medio di benzina (self) è 1.81€/litro e per il gasolio (self) è 1.872€/litro.
Durante la primavera 2022, a partire dallo scoppio della crisi Ucraina, si era parlato di una possibile speculazione sui prezzi al pubblico operata dai distributori di benzina. La speculazione non trova riscontro nei numeri, considerando che il differenziale tra il costo della materia prima greggio (Brent Spot o Platt’s raffinati) e il prezzo netto (CIF mediterraneo) è rimasto sostanzialmente invariato (tra 0 e 0.10€/litro) per tutta la durata del conflitto. Nel 2022, il differenziale ha subito una crescita durante l’estate (più per il gasolio che per la benzina), riassorbitasi a inizio autunno.
La medesima accusa di speculazione è stata mossa ai distributori fin dai primi giorni di gennaio 2023, dopo l’aumento considerevole dei prezzi.
L’accusa è stata respinta a gran voce dalla Federazione italiana gestori impianti stradali carburanti (Figisc). Utilizzando i dati dell’Osservatorio sui prezzi dei carburanti del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Figisc dichiara che dal 30 dicembre 2022 al 5 gennaio 2023:
Quindi, l’aumento dei prezzi alla pompa corrisponde quasi specularmente all’aumento dell’accisa e della corrispondente Iva.
La nota di Figisc sottolinea anche che, dai contratti di distribuzione stipulati con le compagnie produttrici, il margine di guadagno fisso a loro spettante è di circa 0.035€/litro e che in caso di “over price” (prezzo superiore a quello consigliato), le compagnie possono applicare penali proporzionali ai quantitativi venduti.
Analizzando direttamente i dati settimanali forniti dal ministero, si evince che il prezzo al netto delle imposte è aumentato del 2,05 per cento tra il 26 dicembre e il 1° gennaio, per poi calare del -1,61 per cento dal 1° al 9 gennaio 2023. Tenendo conto che la speculazione dei distributori potrebbe essere attuata solo modificando il margine industriale, e quindi il prezzo netto, e che tale prezzo netto è rimasto quasi del tutto invariato nei primi dieci giorni del 2023, l’ipotesi di speculazione sembra remota e difficile da dimostrare.
Ovviamente, va sottolineato che i valori dei prezzi qui discussi sono medie nazionali e pertanto sintetizzano valori che possono essere sia superiori che inferiori a quello medio e che possono risentire di dinamiche locali o della struttura della rete di distribuzione oppure di speculazioni individuali, ma non sistematiche.
Oltre alle speculazioni “legali”, dovremmo anche considerare che, stando ai report della Commissione Antimafia, l’occhio della criminalità organizzata si sposta sempre più verso il commercio internazionale di prodotti petroliferi per la realizzazione di frodi fiscali (evasione di Iva e accise) in grado di danneggiare il gettito erariale e produrre distorsioni di mercato, ad esempio vendendo carburanti di contrabbando a prezzi nettamente inferiori rispetto agli altri distributori.
Dalla breve analisi sui prezzi qui presentata, si può dire che gli aumenti dei prezzi siano dovuti a una scelta politica ben precisa, ma non da condannare completamente. Infatti, per essere trasparenti, bisogna ricordare che, insieme a Irpef e Iva, le accise costituiscono una delle grandi fonti di entrate per le casse pubbliche (circa 23,8 miliardi nel 2021), rendendo quasi impossibile una loro riduzione strutturale.
Si potrebbe poi sollevare il grande tema della scomparsa della industria di raffinazione italiana, che conta ora solamente 11 raffinerie attive, contro le 22 del 1950. La deindustrializzazione ha portato a una enorme riduzione della capacità di raffinazione nazionale, passata da quasi 180 milioni di tonnellate annue nel 2018 a poco più di 80 milioni nel 2020, aumentando così la dipendenza dalle importazioni da altri paesi produttori.
Comunque la si guardi, è evidente che scelte politiche in merito al gettito fiscale sui carburanti e politica industriale comportano sempre un grande “prezzo” sociale ed economico che non deve essere ignorato.
Infine, l’ultimo aspetto cruciale è che la crisi energetica del 2022, aggravata dai nuovi aumenti, ha un costo sociale che pesa principalmente sulle famiglie a reddito fisso (primi fra tutti i lavoratori dipendenti), che non possono aumentare il proprio reddito con rendite o rivalutazioni degli asset.
Alessandro Lanza - Direttore della Fondazione Eni Enrico Mattei
Matteo Manera - Professore ordinario di Econometria dell’Università di Milano-Bicocca
Paolo Maranzano - Ricercatore di Statistica Economica presso dell'Università di Milano-Bicocca
Per gentile concessione www.lavoce.info
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