Indicando una quota massima di studenti stranieri per classe, il ministro Valditara vuole combattere il fenomeno della segregazione scolastica su base etnica. Ma senza una riflessione accurata sulle sue cause e conseguenze la soluzione resta lontana.
Alunni stranieri da Gelmini a Valditara: “Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilano sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione, ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani”, a partire da questa affermazione del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, ripresa anche dal presidente del Senato Ignazio La Russa, si è aperto negli ultimi giorni un acceso dibattito pubblico sul rischio di segregazione scolastica. Un dibattito, purtroppo, fondato su analisi molto lacunose.
Il tema non è nuovo. Già nel 2010 una circolare dell’allora ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini aveva stabilito che “il numero degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30 per cento del totale degli iscritti, quale esito di una equilibrata distribuzione degli allievi con cittadinanza non italiana tra istituti che insistono sullo stesso territorio”.
La discussione di oggi rischia di confondere il tema generale dei livelli di apprendimento degli studenti stranieri con quello relativo alla loro concentrazione in classi o scuole specifiche. Sia l’affermazione di Valditara che la circolare del 2010 riguardano questo punto particolare, intendendo combattere il fenomeno della segregazione scolastica su base etnica, identificata – in modo arbitrario – come la presenza, in una scuola, di una quota di studenti con background migratorio pari al 30 o 50 per cento, o anche oltre.
Va innanzitutto detto che la segregazione scolastica non riguarda solo la cittadinanza ma anche il background socio-economico degli studenti. In questo secondo caso, colpisce soprattutto agli estremi, concentrando gli studenti svantaggiati in alcune scuole e i privilegiati in altre: un fenomeno non certo nuovo.
Se ci focalizziamo sulla segregazione su base etnica, la sua distribuzione nel paese è molto disuguale (vedi tabella 1). In base ai dati del ministero dell’Istruzione, nel 2022-2023 la quota complessiva di studenti con cittadinanza non italiana era del 10,9 per cento. Una quota che sale oltre il 12 per cento per le scuole dell’infanzia e le primarie e scende all’8 per cento nelle superiori. E che risente anche di un forte divario territoriale: mentre nelle regioni settentrionali la quota complessiva di stranieri è del 16 per cento (con una punta al 20 per cento in Lombardia), nel Mezzogiorno è al 4 per cento. Nel Nord, si concentra soprattutto nelle scuole d’infanzia e nelle scuole dell’obbligo (dove copre il 16-18 per cento della popolazione scolastica).
La circolare del 2010 identificava nel 30 per cento la soglia da rispettare per garantire una distribuzione equa degli studenti stranieri. Un valore basso per le regioni settentrionali e forse troppo alto per il Mezzogiorno. In base ai dati forniti dal XXIX Rapporto sulle migrazioni 2023 dell’Ismu, la soglia verrebbe superata nel 7,2 per cento delle scuole italiane, mentre ben il 18 per cento delle scuole non ha alcun studente con cittadinanza non italiana.
Tabella 1 – Quote di studenti stranieri per ordine scolastico e macro-area territoriale, anno scolastico 2022-2023
Fonte: ministero dell’Istruzione, Servizio statistica, elaborazioni dell’autore
Una volta fotografata la situazione, resta da comprendere le cause della segregazione scolastica e valutarne le conseguenze. Sul versante delle cause, alcuni studi hanno cominciato a chiarire perché, in un certo numero di scuole, la quota di studenti stranieri ecceda di molto quella media cittadina. Il caso più eclatante è Milano, dove per una media cittadina di stranieri iscritti alle scuole primarie pari al 24 per cento, ci sono circa trenta scuole (su 143) in cui la quota supera il 50 per cento (per le scuole medie, la situazione è simile). Peraltro, sempre a Milano, sono quasi altrettante le scuole primarie statali che non hanno studenti stranieri iscritti.
Quale è la causa della distribuzione diseguale? A Milano, se ci fosse perfetta corrispondenza tra territorio e scuole, la soglia del 50 per cento verrebbe superata solo in pochissimi casi. La concentrazione scolastica “eccedente” quella territoriale è quindi rilevante. E risulta determinata dalla mobilità dei bambini, le cui famiglie esercitano in misura rilevante la libertà di scelta scolastica. Sono soprattutto gli italiani a lasciare la scuola elementare o media locale, e lo fanno in due direzioni diverse: mentre il 40 per cento si iscrive a una scuola privata (in cui non ci sono praticamente stranieri), il restante 60 per cento si sposta all’interno del sistema pubblico.
Analizzando le caratteristiche delle scuole “evitate” e di quelle “scelte”, emerge chiaramente che, una volta controllati tutti i fattori possibili, si abbandonano soprattutto le scuole a composizione mista (sia per caratteristiche socio-economiche che etniche) e si scelgono quelle con una forte maggioranza di italiani e di studenti di classe media.
Una scelta scolastica che esprime, dunque, la fuga da scuole ritenute “difficili “a causa della composizione eterogenea e multietnica della popolazione scolastica. Si evitano così le scuole dei quartieri più svantaggiati e quelle più connotate etnicamente, per spostarsi verso scuole più centrali, alla ricerca di ambienti sociali più omogenei e con minore presenza di soggetti potenzialmente svantaggiati.
La forte concentrazione di stranieri in alcune scuole è dunque principalmente il risultato di quello che, in altro contesto storico e geografico, ma con forti analogie, è stato chiamato “white flight”. In attesa di studi più ampi che comprendano quali sono le conseguenze per gli studenti, una conclusione è già possibile. Le scuole-ghetto, o comunque a forte concentrazione di stranieri, sono il risultato soprattutto dei comportamenti delle famiglie italiane, che abbandonano le scuole con maggiore presenza di stranieri, finendo per esasperarne la separazione.
Per fare quanto il ministro Valditara auspica e seguire il dettato della circolare Gelmini del 2010 (non a caso, sostanzialmente inattuata), bisognerebbe predisporre strumenti (che non sono certo i bus) per riportare gli allievi italiani nelle scuole del proprio territorio di residenza.
Come farlo? Qui la strada si fa molto irta. Una strategia possibile potrebbe comportare una limitazione parziale della libertà di scelta scolastica, ad esempio ripristinando l’obbligatorietà dell’iscrizione nel bacino scolastico di residenza: è davvero una strategia realizzabile? Una strategia alternativa, più morbida, potrebbe essere di investire massicciamente nelle scuole “abbandonate” per renderle di nuovo attraenti alle famiglie italiane di ceto medio: è quanto intende fare il ministro Valditara?
Lo spazio dal dire al fare è insomma molto ampio, e attraversato da idee che non considerano la realtà dei fatti. La questione è peraltro complessa e merita senz’altro riflessioni attente. I tradizionali programmi di inclusione sociale sono evidentemente essenziali, ma rischiano paradossalmente di esasperare la separazione etnica o socio-economica. A questi programmi dovrebbero aggiungersi pratiche volte a mitigare la competizione tra scuole attive nello stesso territorio, promuovendo forme di coordinamento e gestione congiunta dei flussi scolastici. Nulla di tutto ciò è quanto si discute nel paese, ahimè. Senza un’adeguata informazione sulla realtà attuale e una riflessione accurata su cause e conseguenze, resteremo alle dichiarazioni di principio, cui nulla di concreto seguirà. È facile predire che la segregazione scolastica è destinata a restare a lungo tra noi.
Costanzo Ranci - professore ordinario di Sociologia economica al Politecnico di Milano - per gentile concessione www.lavoce.info
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