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Filosofia di vita del dialetto nel nuovo libro di Bruno Menna

Benevento - La Rocca dei Rettori
Benevento - La Rocca dei Rettori
Quando il dialetto è espressione della filosofia di un popolo, comunicazione fatta di quelle sfumature della sensibilità umana che una lingua rigidamente strutturata non sempre sa cogliere ed esprimere, ecco che si pone il tema della sua riscoperta e soprattutto della sua condivisione, tema dichiarato nel libro curato da Bruno Menna dal titolo “Come parlano i beneventani 3”, volume giunto alla sua terza edizione per Aesse Stampa edizioni.
La presentazione della pubblicazione, tenutasi nella Sala consiliare della Rocca dei Rettori di Benevento nella serata di giovedì 17, ha registrato la presenza dell’assessore alle politiche formative della Provincia, Annachiara Palmieri, Mario Pedicini, Amerigo Ciervo, Maria Ricca e lo stesso Bruno Menna. Gli interventi sono stati moderati dal giornalista Antonio De Lucia. Attraverso gli interventi degli ospiti sopra indicati, è emerso dunque l’obiettivo di un libro che vuole sottolineare lo stretto rapporto fra dialetto e territorio e l’equazione ‘parlata’ e filosofia di vita, una simbiosi che rafforza un senso di identità territoriale che, pur attraverso la sua naturale evoluzione storico-sociale e dunque linguistica, rivendica la profondità ed il valore di radici che rendono unico ogni dialetto e consentono la sua rappresentatività nel panorama dell’evoluzione del lessico. Abbecedario beneventano a cui si accompagnano espressioni, locuzioni, frasi fatte e termini che rendono accattivante la lettura di un volume che ha, come unica pretesa, quella di vivificare la memoria di una lingua travagliata e rinvigorita dalle presenze di tanti popoli diversi, e dunque di glossari particolari di cui è facile trovare memoria in tanti termini dialettali. Pedicini ricorda una serie di definizioni e modi di dire della tradizione per i quali è facile riscoprire una radice linguistica greca, romana o araba, parole della memoria di cui i più giovani non hanno ormai alcuna conoscenza, ma che invece rappresentano la più significativa testimonianza della nostra storia, la più immediata documentazione di un sapere popolare e di una saggezza che ci abbraccia nel sentimento rassicurante di un sentire mai mutato. Parole e suoni che spesso sono difficili da riportare nello scritto e dunque da leggere, specie per quanti non conoscono l’esistenza di quei termini, ciò nonostante, o forse proprio per questo, il loro recupero è giusto e necessario al fine di preservare quell’identità territoriale che va recuperata. Non è, dice Menna, un’operazione di nostalgia, ma piuttosto il tentativo giocoso di rivivere rapporti umani, emozioni e sensazioni in dimensione familiare, lo sforzo di recuperare modi di dire che oggi sono stati sostituiti da parole anche straniere, vedi termini come spread o spending review che tranquillamente corrispondono a tanti detti popolari che riassumono, con semplicità ed immediatezza, il senso di difficoltà a cui sono sottoposti sempre gli stessi, ricorda Ricca. Il giorno della presentazione del libro coincide poi con la giornata nazionale delle lingue e dei dialetti , curata dall’Unpli, come ricorda il Presidente provinciale Antonio Lombardi e la Palmieri, evento che ha l’obiettivo di riproporre la centralità del dialetto nel patrimonio storico-culturale del nostro paese. Quale sia la radice delle differenze fra dialetti di paesi spesso vicini, è stato oggetto di discussione fra i presenti, che hanno inoltre sottolineato le differenze esistenti, spesso, anche fra idiomi di zone della città, o fra città e campagne limitrofe, quasi a denunciare le diverse appartenenze socio-economiche o la scomparsa di mestieri ed attività che generavano termini specifici. Il dialetto in fondo è espressione di una filosofia di vita, dalla rassegnazione alla giocosa ed arguta scelta di comportamenti figli di circostanze particolari, dall’amara constatazione di un destino spesso maligno, alla spensierata osservazione dell’inevitabilità del corso della vita, fino all’esaltazione degli affetti e della carità umana, della fede nel divino o perfino della denuncia di pregiudizi o diffamazioni. Parole della tradizione spesso banalizzate o trasformate dalla comunicazione mediatica o pubblicitaria, come ricorda De Lucia, modificate storicamente, a partire dagli anni '60, in un processo di trasformazione sociale che promuove i mutamenti espressivi, come ricorda Ciervo, fino a giungere a quella banalizzazione linguistica che omologa non solo le parole, ma anche le emozioni ed i pensieri che esse esprimono. Riscopriamo allora il nostro dialetto e le memorie che esso evoca, non per rimpiangere con nostalgia un tempo che fu, ma soprattutto per regalare ai più giovani la consapevolezza di un’appartenenza che arricchisce impreziosisce anche la nostra quotidianità.
Eusapia Tarricone


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