Rapporto SVIMEZ. Al Sud pochi investimenti pubblici, giovani in fuga, diritti limitati, occupazione precaria

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Raddoppiato il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione. In otto anni (dal 2010 al 2018) si è passati da 362 mila a 600 mila (al Centro – Nord sono 470 mila). Anche il numero di famiglie senza alcun occupato è cresciuto tra il 2016 ed il 2017 del 2% all’anno. 

Rese note le anticipazioni dell’annuale Rapporto SVIMEZ secondo cui Centro-Nord e Mezzogiorno crescono o arretrano insieme. Secondo lo SVIMEZ, “i divari di crescita all’interno dell’Area dell’Euro nel 2017 appaiano ridursi, ma rimangono ancora differenze nella competitività che si traducono in tempi diversi di recupero, ma solo in Italia, oltre che in Grecia, il prodotto non è ancora ritornato ai livelli pre crisi. Il lento recupero dell’economia italiana ci restituisce una forbice di sviluppo con l’Europa ancora ampia: dall’inizio della crisi il divario cumulato con l’Area dell’Euro è aumentato di oltre 12 punti percentuali, con l’Unione europea di oltre 14 punti. Tale andamento ha radici sia congiunturali, dovute al ritardo con cui il Paese si è agganciato alla fase di espansione ciclica”.

La crescita del Mezzogiorno secondo l’Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno è: “fortemente influenzata dall’andamento dell’economia nazionale, e viceversa”. La dimostrazione arriva dal fatto che nel periodo 2000-2016 le due macro-aree hanno condiviso la stessa dinamica stagnante del PIL pro capite: “+1,1% in media annua. Basti pensare che, in base ai calcoli della SVIMEZ, 20 dei 50 miliardi circa di residuo fiscale trasferito alle regioni meridionali dal bilancio pubblico ritornano al Centro-Nord sotto forma di domanda di beni e servizi”.

Il Sud Italia vive una situazione di calma apparente. Infatti, dietro la crescita economia del triennio 2015-2017 – che di fatto ha solo fatto recuperare in parte un patrimonio disgregato da anni di crisi – si nasconde una vera e propria emergenza sociale. Dunque, se la dinamica economica ha ripreso a muoversi – seppur in maniera lenta – continuano ad essere esclusi dalle dinamiche sociali e lavorative tanti cittadini. Una spaccatura che non fa altro che ampliare le sacche di povertà e di disagio a nuove fasce della popolazione. Infatti, è pressoché raddoppiato il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione. In otto anni (dal 2010 al 2018) si è passati da 362 mila a 600 mila (al Centro – Nord sono 470 mila). Anche il numero di famiglie senza alcun occupato è cresciuto tra il 2016 ed il 2017 del 2% all’anno.

Ad amplificare il disagio: l’assenza dei servizi pubblici nelle aree periferiche, l’aumento dei working poors ovvero la crescita del lavoro a bassa retribuzione e del part-time. Quest’ultimo punto, è poi andato a condizionare anche i dati sulla crescita occupazionale: “la ripresa non è stata in grado di incidere su un quadro di emergenza sociale sempre più allarmante”.

Poca spesa pubblica, Sud trainato da investimenti privati

Quello che manca al Sud, secondo lo SVIMEZ, è anche il contributo della spesa pubblica. A trainare la ripresa, infatti, sono gli investimenti privati che nel Mezzogiorno sono cresciuti del 3,9%, consolidando la ripresa dell’anno precedente: “l’incremento è stato lievemente superiore a quello del Centro-Nord (+3,7%). La crescita degli investimenti al Sud ha riguardato tutti i settori. Ma rispetto ai livelli pre-crisi, gli investimenti fissi lordi sono cumulativamente nel Mezzogiorno ancora inferiori del -31,6% (ben maggiore rispetto al Centro-Nord, -20%). Preoccupante, invece, la contrazione della spesa pubblica corrente nel periodo 2008-2017, -7,1% nel Mezzogiorno, mentre è cresciuta dello 0,5% nel resto del Paese”. Inoltre, si registra una forte disomogeneità tra le regioni del Mezzogiorno: nel 2017, Calabria, Sardegna e Campania registrano il più alto tasso di sviluppo. Più occupazione ma debole e precaria. L’ampliamento del disagio sociale, tra famiglie in povertà assoluta e lavoratori poveri. Nuovo dualismo demografico: meno giovani, meno Sud. La limitazione dei diritti di cittadinanza, il divario nei servizi pubblici.

In Campania, dopo la revisione dell’andamento del PIL del 2016 (che scende da +2,4% a +1,5%), il 2017 è stato un anno in cui il prodotto 3 lordo ha continuato a crescere dell’1,8%, confermando nel triennio di ripresa un importante dinamismo. Nella regione sono andate molto bene le costruzioni (+16,5% nel 2015-2017), spinte dalle infrastrutture finanziate con i fondi europei, ma anche l’industria in senso stretto prosegue la sua corsa (+8,9% negli ultimi tre anni), grazie soprattutto alla spinta dei Contratti di Sviluppo, gran parte dei quali ha riguardato proprio la Campania. I servizi fanno segnare nel triennio un più modesto +3,7%, per merito in particolare del turismo. Mentre l’agricoltura va in controtendenza e accusa una flessione tra 2015 e 2017 pari a -1,3%.

Il dualismo generazionale

A nascere, in questi ultimi anni, anche un nuovo dualismo: tutto demografico. Infatti, nel 2017 la popolazione italiana ha subito un ulteriore calo di quasi 106 mila unità. A diminuire è anche il peso demografico del Sud ora pari al 34,2%. Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800 mila non sono tornati. Anche nel 2016, quando la ripresa economica ha manifestato segni di consolidamento, si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 131 mila residenti. In particolare la Campania ha fatto registrare -9,1 mila residenti, per un tasso migratorio netto di -1,6 per mille.

Anche in ambito lavorativo è drammatico il dualismo generazionale: “il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia adulta 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità)”.

Occupazione debole e precaria

L’occupazione, dicevamo, è in ripresa, ma è al contempo: debole e precaria. Nel Mezzogiorno nel corso del 2017 è aumentata di 71 mila unità (+1,2%) al Centro – Nord di 194 mila unità (+1,2%). Il dato, anche se positivo per il Sud è del tutto insufficiente a colmare il crollo dei posti lavoro avvenuto nel periodo di crisi: -310 mila unità rispetto al 2008. Se in termini di occupazione, restano stabili di dati dei contratti a tempo indeterminato (+0,2%), l’incremento dell’occupazione al Sud è dovuta quasi esclusivamente alla crescita dei contratti a termine (+61 mila, pari al +7,5%) mentre sono stazionari quelli a tempo indeterminato (+0,2%). Una frenata brusca per i contratti a tempo indeterminato (nel 2016 +2,5%) a dimostrazione che scemati gli effetti positivi degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni, il problema rimane.

Al Sud diritti limitati

Per quanto riguarda il Sud, ancora oggi, i diritti di cittadinanza restano limitati sia in termini di vivibilità dell’ambiente locale, che di sicurezza, per i non adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura per la persona adulta e per l’infanzia. “In particolare – si legge nel rapporto – nel comparto socio-assistenziale il ritardo delle regioni meridionali riguarda sia i servizi per l’infanzia che quelli per gli anziani e per i non autosufficienti. Più in generale, l’intero comparto sanitario presenta differenziali in termini di prestazioni che sono al di sotto dello standard minimo nazionale come dimostra la griglia dei Livelli Essenziali di Assistenza nelle regioni sottoposte a Piano di rientro: Molise, Puglia, Sicilia, Calabria e Campania, sia pur con un recupero negli ultimi anni, risultano ancora inadempienti su alcuni obiettivi fissati. I dati sulla mobilità ospedaliera interregionale testimoniano le carenze del sistema sanitario meridionale, soprattutto in alcuni specifici campi di specializzazione, e la lunghezza dei tempi di attesa per i ricoveri. Le regioni che mostrano i maggiori flussi di emigrazione sono Calabria, Campania e Sicilia, mentre attraggono malati soprattutto la Lombardia e l’Emilia Romagna. I lunghi tempi di attesa per le prestazioni specialistiche e ambulatoriali sono anche alla base della crescita della spesa sostenuta dalle famiglie con il conseguente impatto sui redditi. Strettamente collegato è il fenomeno della ‘povertà sanitaria’, secondo il quale sempre più frequentemente l’insorgere di patologie gravi costituisce una delle cause più importanti di impoverimento delle famiglie italiane, soprattutto nel Sud: nelle regioni meridionali sono il 3,8% in Campania, il 2,8% in Calabria, il 2,7% in Sicilia; all’estremo opposto troviamo la Lombardia con lo 0,2% e lo 0,3% della Toscana. I divari si confermano anche per quel che riguarda l’efficienza degli uffici pubblici in termini di tempi di attesa all’anagrafe, alle ASL e agli uffici postali. La SVIMEZ ha costruito un indice sintetico della performance delle Pubbliche Amministrazioni nelle regioni sulla base della qualità dei servizi pubblici forniti al cittadino nella vita quotidiana: fatto 100 il valore della regione più efficiente (Trentino-Alto Adige) emerge che quelle meridionali, ad eccezione della Campania che si attesta a 61, della Sardegna a 60 e dell’Abruzzo a 53, sono al di sotto della metà: Calabria 39, Sicilia 40, Basilicata 42, Puglia 43”.

Cosa ci aspetta. 2019 a rischio frenata

In base alle previsioni elaborate dalla SVIMEZ, nel 2018, “il PIL del Centro-Nord dovrebbe crescere dell’1,4%, in misura maggiore di quello delle regioni del Sud +1%. I consumi totali interni pesano sulla differente dinamica territoriale (+1,2% nel CentroNord e + 0,5% nel Sud), in particolare i consumi della P.A., che segnano +0,5% nel Centro-Nord e -0,3% nel Mezzogiorno”. Le apprensioni, riguardano il 2019 nel quale si rischia un forte rallentamento dell’economia meridionale: "la crescita del prodotto sarà pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud. In due anni, un sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo. Il rallentamento ‘tendenziale’ dell’economia meridionale nel 2019 è stimato dalla SVIMEZ, in un contesto di neutralità della policy, in attesa della Nota di aggiornamento al DEF e della Legge di Bilancio. In assenza di una politica adeguata, anche l’anno prossimo il livello degli investimenti pubblici al Sud dovrebbe essere inferiore di circa 4,5 miliardi se raffrontato al picco più recente (nel 2010). Se, invece, nel 2019 fosse possibile recuperare per intero questo gap, favorendo in misura maggiore gli investimenti infrastrutturali di cui il Sud ha grande bisogno, ciò darebbe luogo a una crescita aggiuntiva di quasi un punto percentuale (+0,8%), rispetto a quella prevista (appena un +0,7%), per cui il differenziale di crescita tra Centro-Nord e Mezzogiorno sarebbe completamente annullato, anzi, sarebbe il Sud a crescere di più, con beneficio per l’intero Paese”.

(M.P.)

*i dati sono tratti dalle anticipazioni Rapporto SVIMEZ 2018



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