Solo fango, percolato e noia mortale nell'Italietta. Disposti a vendere tutto, pur di comprare

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 di Tiziana Nardone - dal Quaderno settimanale n. 600 - E' giusto eliminare coloro che disturbano il corso della rivoluzione, la linea del Partito? E chi stabilisce se quella linea, considerata sul momento necessaria, è la più opportuna?

Eppure, un tempo lui stesso lo professava: "La Storia non conosce scrupoli né esitazioni... Scorre, inerte e infallibile, verso la sua meta. Ad ogni curva del suo corso lascia il fango che porta con sé: i cadaveri degli affogati. La Storia sa dove va. Non commette errori. Colui che non ha una fede assoluta nella Storia non è nelle file del partito".

Anno 1940. Romanzo: 'Buio a mezzogiorno', di Arthur Koestler. Soggetto: identificazione della vittima con il proprio uccisore, perché solo in tal modo può essere giustificata la propria sconfitta. Un 'lo meritavo' per non impazzire di fronte all'ingiustizia.

Il libro si rifà al processo staliniano e alla condanna a morte di Nikolaj Ivanovič Bukharin, svoltosi nel 1938. Il protagonista, Rubasciov, catturato con accuse false e fiaccato da torture fisiche e psicologiche, viene spinto a confessare crimini mai commessi. In realtà, è lui stesso a rendersi conto di come il suo più grande peccato sia stato quello di aver prestato asilo all'Io. Nella logica della Russia rivoluzionaria non conta l'individuo. L'uomo non esiste, non è che "una moltitudine di un milione divisa per un milione". Per questo si dichiarerà colpevole, per aver preposto l'idea dell'uomo a quella dell'umanità, quasi che la responsabilità individuale o l'innocenza potessero contare qualcosa rispetto all'utilità e al danno per il Partito.

Koestler aveva militato per davvero nel partito comunista, divenendone dirigente. Poi, se ne era liberato. Proprio lui, che nella realtà s'era dilaniato tra i fini e i mezzi, tra le ragioni della singola vita umana e quelle "superiori" della Storia, poté narrare l'orrore dello stalinismo nella creazione del 'nemico interno'.

Il protagonista confesserà i crimini immaginari di cui viene accusato, costituiranno i motivi della sua condanna e dovrà per primo riconoscerli come giusti. Non gli rimarrà che un sogno, la parola scritta sul cimitero dei vinti: 'dormire'.

Oggi, le ragioni che portano l'Italietta a discutere, a contrapporsi non sono di così ampio respiro: ci fermiamo all'interesse personale, all'incapacità amministrativa dovuta a una cattiva scelta politica alla base.

E' desolante, certo. Pure solo scriverlo. I problemi grandi, quelli veri, corollario di tali affermazioni non indignano nemmeno più. Disoccupazione giovanile al 30%. Che facciamo? Protestiamo? No. Pensiamo a come dividere e far fruttare quel poco di patrimonio familiare che riusciremo a salvare. La gestione del ciclo rifiuti in Campania è stata talmente scellerata che nemmeno retoriche ghigliottine sarebbero capaci di saziare la nostra giusta vendetta. Che facciamo? Condanniamo politicamente i responsabili, ossia Rastrelli, Bassolino, Iervolino, Catenacci, Bertolaso, Berlusconi? No.

Cosa è che ci incatena? Pigrizia? Incapacità? Ignoranza? Particolarismo sfrenato? La Storia non ci interessa più, l'individuo è inviolabile, qualunque cosa faccia. E rimane stupido. Pronto, ieri, ad abbracciare un totalitarismo, alla ricerca di una convinzione universale. Oggi, disposto a vendere tutto pur di comprare, rimanendo in realtà povero e solo. L'eccessiva preoccupazione nel garantirsi il proprio posto al sole frena qualsiasi scambio umano reale.

Al massimo sono consentiti gli scambi tra soci, che siamo moglie e marito, al più familiari. La vita è dura e la lotta ci fa paura! Non serve più il cimitero dei vinti in cui agognare di poter 'dormire'. Da anni, ci siamo adagiati: animali da consumo, poco intelligenti, ma rapaci. Produttori di una noia mortale. Se la Storia dovesse realmente sapere dove sta andando allora noi non potremmo essere che i cadaveri degli affogati. Italia, anno 2011. Niente di importante, nessuna evoluzione. Solo fango e percolato.
Tiziana Nardone



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