"L'Everest? Lo faccio tre volte": Stefano, 96 ore di corsa per aiutare la ricerca

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"L'Everest? Lo faccio tre volte": Stefano, 96 ore di corsa per aiutare la ricerca

(Adnkronos) - La fotografia dell’impresa è tutta in un abbraccio. Stefano Delbarba, 51 anni, arriva al traguardo dopo 96 ore e mezza di fatica e tiene la mano di Francesco, ragazzo di dieci anni malato di cistinosi, una malattia metabolica rara. È il 6 maggio ed è appena diventato il primo italiano riuscito a chiudere il Triple Everesting. "Ho corso per tre volte consecutive il dislivello dell’Everest, quasi 27mila metri, per aiutare la racconta fondi per le cure sperimentali su questa malattia", racconta all’Adnkronos. 

 

Nativo di Iseo, a due passi da Brescia, Stefano ha costruito la sua impresa sulla celebre Corna Trentapassi, scalata per 52 volte consecutive. "Ho passato 96 ore e mezza sempre in movimento. Mi sono fermato a mangiare ciò che potevo. I primi due giorni riuscivo a mandare giù anche cibi solidi come pane e pasta, poi mi si è bloccato lo stomaco. Da lì ho cominciato a mangiare solo yogurt e minestra, senza masticare".  

Tutto per dare una mano ai meno fortunati: "Un annetto fa avevo conosciuto delle associazioni. Mi avevano chiesto di fare qualcosa per sostenere la ricerca sulla cistinosi, una malattia metabolica ereditaria rara. In Italia ci sono cinquanta casi e le case farmaceutiche non investono, diciamo così. I malati ricevono un aiuto fino ai 18 anni, poi si devono arrangiare e non è semplice. Già l’anno scorso – spiega Stefano – abbiamo organizzato alcuni eventi, raccogliendo circa 7mila euro. Siccome il Double Everesting era stato già fatto da qualcuno, per far notizia abbiamo triplicato la distanza". 

Scommessa vinta: "Oltre a incuriosirsi, la gente sta donando e non potrei essere più soddisfatto. Finora abbiamo raccolto circa 5mila euro, perché anche i miei sponsor e le partnership hanno donato. Nel loro caso un minimo di 600 euro a testa, perché si erano impegnati a donare 200 euro per ogni Everesting". 

 

Come è stato possibile? "In quei giorni di corsa, mia sorella si è piazzata all’inizio del percorso con un gazebo. La gente, incuriosita nel vedermi andare su e giù per la Cima Trentapassi, chiedeva e donava. Alcuni, addirittura, hanno fatto con me parte del percorso. Un aiuto ce lo ha dato anche il periodo, vista la vicinanza del ponte del primo maggio. C’è stato davvero un boom, sport e solidarietà hanno fatto la differenza".  

Ultratrailer navigato, Stefano aveva già affrontato tante altre imprese: "Ho fatto due volte il Tor des Geants, il trail più duro al mondo. Questa passione è nata circa dieci anni fa, quando mi sono separato da mia moglie. La corsa è diventata una valvola di sfogo. All’inizio facevo soltanto la Cima Trentapassi. La prima volta nemmeno riuscivo a camminare, perché è molto verticale e la fatica si sente. Poi, ho continuato e la montagna è diventata una passione. Quando finisco il turno di lavoro, per esempio, vado a fare dei giri perché è più forte di me. Forse esagero, ma senza corsa non so stare". 

Stefano, atleta del Rosa Running Team, è un carpentiere e da anni riesce a coniugare il lavoro con una programmazione scientifica dell’allenamento: "Corro spesso di notte – spiega – e amo quei momenti, mi piace stare da solo con me stesso. Di solito parto alle 3, faccio i miei percorsi e torno a casa per le 5. Lì inizia la mia giornata. Mi preparo, faccio colazione e poi dritto al lavoro. E a fine turno, se mi va, vado a fare un altro giretto prima di riposare".  

Ma dove porta la testa durante 96 ore e passa di corsa? "Ecco, io qui sono fortunato. Entro nel mio mondo e penso a tutto, dai figli che mi aspettano a casa al lavoro e al futuro. Non sento per niente la fatica”. Pensare di aiutare il prossimo, poi, rende le imprese anche un po’ più facili. (di Michele Antonelli) 



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