Medio Oriente, Follini: "L'Occidente? Pirandelliano, uno, nessuno e centomila'"
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(Adnkronos) - “L’Occidente è sempre stato un luogo animato e agitato, solcato da mille differenze e attraversato da più di qualche controversa opinione su di sé e sul da farsi. La storia ci consegna un’idea passata di noi stessi che le difficoltà del presente rendono quasi idilliaca. Ma a ben vedere non si trattava, neanche allora, di un idillio vero e proprio. Tant’è che fin dagli anni cinquanta, quando inglesi e francesi furono sul punto di muovere guerra per il canale di Suez e gli americani si incaricarono di fermarli, non si contano le volte in cui una diversa opinione sul da farsi diede luogo a conflitti e dissensi anche all’interno dei confini della nostra parte di mondo.
Ora però accade che le differenze si facciano più larghe, i conflitti più aspri e le prospettive più incerte. Un po’ perché lo scenario globale è cambiato, facendosi via via più fosco e minaccioso. Un po’ perché la nostra porzione di globo ha perso molta della sua influenza, parte della sua ricchezza e qualcuna delle sue buone idee. E un po’, infine, perché all’indomani della guerra fredda nessuno si è più dedicato a cercare di dare un significato a quella dizione -l’Occidente- che suscitava nel resto del mondo una sorta di controversa suggestione.
Così, giunti a questo punto, dovremmo cercare di capire se esiste ancora, se ha ancora un senso, se contiene ancora un qualche valore, quella definizione -l’Occidente, appunto- che ha segnato la seconda metà del novecento, lasciandoci poi orfani delle nostre illusioni e di qualcuno dei nostri equivoci. Poiché la sensazione è che di “occidenti” ne esistano ormai fin troppi e che le divisioni che li attraversano si siano fatte così ampie da non consentire più una ragionevole sintesi tra le sue molte e contraddittorie varianti.
Sono “occidentali”, per l’appunto, i giovani scesi in piazza in questi giorni contro i bombardamenti su Gaza. Sono altrettanto occidentali gli ucraini che difendono con le unghie e coi denti il loro territorio preso d’assalto dalla brutalità di Putin. Sono occidentali gli israeliani che nonostante tutto tengono in vita l’unica democrazia nei territori mediorientali. Sono occidentali, occidentalissime, le cancellerie europee che hanno animato il tentativo dei “volenterosi”. E forse lo stesso Trump, o almeno l’America che lo vota, sia pure a giorni alterni e sia pure in modi discutibili, devono sentirsi parte di un retaggio che ha a che vedere con la stessa storia e la stessa geografia (anche se troppe volte se lo dimenticano).
Ne deriva una giostra piuttosto disunita. Perfino le nostre due piazze delle scorse ore, convocate per esprimere un comune sdegno verso gli eccessi del governo Netanyahu, hanno dato vita a parole d’ordine e propositi di segno assai diverso. Come a ricordarci che anche su quegli spartiti su cui dovremmo suonare le stesse note finiamo per dar voce a musiche e composizioni tutt’altro che armoniose. Segno che ogni volta che affrontiamo la globalizzazione ci muoviamo in ordine sparso. Pur con le migliori intenzioni.
Il fatto è che se mettiamo insieme tutte queste convinzioni e stati d’animo finiamo per disperdere l’idea stessa dell’Occidente. Un’idea che sopporta molte differenze, e anzi se ne nutre, ma deve pur sempre cercare di ricondurre tutte queste sue peculiarità all’interno di un quadro comune. O almeno ragionevolmente comune. E invece è proprio la molteplicità dei nostri approcci e delle nostre interpretazioni di noi stessi che infine ci fa uscire dai percorsi di una volta. Fino a riverberare l’immagine di un Occidente pirandelliano, che è uno, nessuno e centomila.
Forse a questo punto il problema è ben oltre la portata della nostra diplomazia e della nostra buona volontà. Così, può essere che l’ordine sparso verso cui ci siamo incamminati sia oramai il destino che ci aspetta. O magari invece potrà capitare che il nuovo pontefice, che ovviamente non può essere interessato solo a noi, riesca dall’alto del suo universalismo a farci ritrovare una ragione per essere quel che siamo stati negli attimi migliori della nostra storia. Sarebbe curioso, e magari anche paradossale. Ma sarebbe anche assai benefico. E forse, chissà, sarà proprio una parola pronunciata contemporaneamente dentro e fuori dai nostri confini a ridare un senso a quel che siamo". (di Marco Follini)