Saldi, la storia: nel periodo dell'Italia fascista le prime leggi sulle 'vendite straordinarie'

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(Adnkronos) - Perché le vendite di fine stagione si chiamano saldi? Questa parola è entrata ormai nel gergo comune con una qualifica ben precisa, ma in realtà è strettamente connessa ad un lessico commerciale. Il termine 'saldi', precisa Confcommercio, indica, infatti, la differenza tra le entrate e le uscite, nonché un 'saldo' positivo o negativo; motivo per cui i saldi sono la merce che non è stata venduta in un negozio a fine stagione e la vendita stessa dell'invenduto. La nascita dei saldi in Italia è segnata da una storia interessante, riportata in una pubblicazione dell'Istituto Bruno Leoni (centro studi torinese), firmata dall'avvocato Silvio Boccalatte. 

E' nel periodo dell'Italia fascista che vengono promulgate le prime leggi sulle 'vendite straordinarie', comunemente chiamate saldi. Risale al 2 giugno 1939 l'introduzione di due categorie di vendita: le vendite di liquidazione e le vendite straordinarie. Entrambe furono definite forme di vendita al pubblico con le quali un commerciante cerca di esitare in breve tempo tutte le proprie merci o gran parte di esse, presentando al pubblico la vendita come occasione particolarmente favorevole. 

Le vendite straordinarie riguardavano, in particolare, la vendita di capi d'abbigliamento, poiché erano considerati prodotti di carattere stagionale suscettibili di notevole deprezzamento se non vengono esitati durante una certa stagione o entro un breve periodo di tempo. Alcune norme nel tempo sono state mantenute, come ad esempio il cartellino sulla merce che deve indicare chiaramente il prezzo, senza essere modificato durante l'intero periodo dei saldi. A cambiare, invece, è la possibilità dei negozianti di scegliere liberamente il periodo in cui effettuare le vendite straordinarie. Le leggi odierne, infatti, regolamentano il periodo dell'anno in cui devono essere svolti i saldi, sia in estate che in inverno. 

In quel tempo, uno dei principali fattori a scoraggiare i commercianti era la trafila burocratica indispensabile per aderire alle vendite straordinarie. Era necessario, infatti, presentare una domanda e attendere che fosse approvata da una parte della corporazione locale, ovvero dalle associazioni controllate dal governo intorno a cui ruotava il piano economico del fascismo. 

La fine del regime fascista nel 1944 comportò, nelle zone in cui l'Italia era stata liberata, l'abolizione delle sopra citate corporazioni. I poteri che finora avevano detenuto, furono trasferiti integralmente alle Camere di Commercio, Industria e Agricoltura dei vari capoluoghi e agli Uffici provinciali dell'industria e del commercio. In realtà non è tutto, poiché venne emanato un ulteriore decreto legislativo in grado di rimettere ordine e organizzazione sul tema saldi. 

Si dovrà attendere il luglio del 1979 per avere il primo disegno di legge nazionale sulle vendite straordinarie: il numero 405 A.C. (= Atto Camera), presentato da alcuni deputati democristiani. Il primo firmatario fu Aristide Tesini, il quale nel discorso di presentazione sosteneva che frequentemente le 'vendite straordinarie o di liquidazione' contenevano pubblicità illusoria, poiché non veniva effettuato alcuno sconto. E' stata proprio questa una delle motivazioni per cui si rendeva necessario un intervento immediato. In aggiunta anche al fatto che, ormai, la legge del 1939 con la sua burocrazia ormai inadeguata non veniva più rispettata. 

Aristide Tesini, nella presentazione, concludeva: "Con la presente proposta di legge si tende, moralizzando il mercato, ad eliminare quelle abnormi forme di vendita che, facendo leva sulla credulità, impediscono un corretto sviluppo di una sana e leale concorrenza, base del nostro sistema economico". E' stato questo uno dei principi fondamentali su cui i legislatori basarono le future regolamentazioni sul tema saldi. Si rendeva necessaria, infatti, la tutela dei consumatori dalla pubblicità ingannevole e dei negozianti da una concorrenza sleale, in cui alcuni commercianti promuovevano falsi deprezzamenti sulla merce. Il governo accettò il disegno di legge trasformandolo nella legge 19 marzo 1980, numero 80. 

In sostanza, la legge ricalcava la normativa già in vigore nel periodo fascista, ma con l'aggiunta di ulteriori distinzioni tra vendite fallimentari (da svolgere solamente in caso di cessazione dell'attività) e "vendite straordinarie per fine stagione, dette anche saldi stagionali". 

La legge del 1980 ha determinato lo svolgimento dei saldi in massimo due diversi periodi dell'anno e la loro durata, che non poteva essere superiore alle quattro settimane. Si definiva anche l'esposizione della merce in saldo: doveva essere indicata chiaramente ed esibita in modo separato da quella non in saldo. 

Ulteriori misure (alcune in vigore ancora oggi) della legge: in caso di controlli, il venditore doveva dimostrare che gli sconti esposti erano stati rispettati; non doveva essere fatta pubblicità ingannevole; non vi erano limiti di acquisto dei capi in saldo; per avere lo sconto non erano obbligatori abbinamenti con altra merce. 

Dopo la legge del 1980, ulteriori modifiche furono eseguite dieci anni dopo dalla legge 12 aprile 1991, numero 130. Uno degli emendamenti più importanti riguarda l'unificazione, in tutta Italia, dei periodi dei saldi. Se prima la decisione spettava alle Camere di commercio, con la legge 1991 i saldi si sarebbero svolti negli stessi periodi, ovvero dal 7 gennaio al 7 marzo e dal 10 luglio al 10 settembre. Al di fuori di questi periodi erano concesse solamente le "vendite promozionali" che, però, erano vietate nei 40 giorni precedenti ai saldi e per l'abbigliamento duranti i giorni dei saldi. Sette anni dopo, nel 1998, hanno fatto seguito alla legge del 1991 ulteriori modifiche sulle date delle vendite straordinarie. Fu stabilito, infatti, che fossero le singole regioni a deliberare la data di inizio saldi. Un potere che venne rafforzato nel 2001 con la riforma del titolo V della Costituzione Italiana, in cui le regioni hanno acquisito sempre più poteri decisionali, iniziando a disporre quasi del tutto in fatto di legislazione del commercio. 

Resta, ad oggi, alle regioni la facoltà di stabilire una specifica disciplina in materia di vendite straordinarie, comportando vincoli e divieti diversi da regione a regione. 



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