Le foreste 'inquinano' per crisi climatica e incendi: lo studio
12:47:50 218

(Adnkronos) - "Esistono foreste che emettono più anidride carbonica di quanta ne sequestrino. Incendi, degrado forestale, eventi estremi, epidemie di insetti e aumento delle temperature sono le principali cause di un fenomeno che, se non monitorato correttamente e in assenza di interventi concreti di gestione della risorsa forestale esistente, potrebbe espandersi". L’allarme, alle porte della Giornata Mondiale dell’Ambiente del 5 giugno, è lanciato da Etifor, spin-off dell’Università di Padova e B Corp specializzata in consulenza ambientale.
"Il caso più eclatante è il Canada - spiega Etifor - che, con i suoi 361 milioni di ettari di foreste, dovrebbe svolgere un ruolo cruciale nella lotta alla crisi climatica in qualità di 'C sink': qui, secondo i dati del governo, 225 milioni di ettari di foreste soggette ad azione umana hanno invertito negli ultimi vent’anni la tendenza di stoccaggio, passando da un assorbimento medio annuo di 30,5 milioni di tonnellate di CO2 a emissioni medie di 131,2 milioni di tonnellate". Le foreste assorbono naturalmente ingenti quantità di anidride carbonica dall’atmosfera, fissandola nella biomassa vegetale, in primis legnosa, sotto forma di carbonio. "A causare il rilascio di CO2 in misura superiore a quella sequestrata sono gli incendi, che in Canada, nel solo 2023, hanno distrutto 15 milioni di ettari di superficie boschiva, ovvero il 4% del totale. Contestualmente, lo stress legato ai cambiamenti climatici e ad eventi estremi ha favorito l’aumento esponenziale di attacchi di insetti: in British Columbia, tra il 2000 e il 2020, epidemie del coleottero scolitide del pino (Dendroctonus ponderosae) hanno colpito e danneggiato oltre 20 milioni di ettari di foreste", spiega Etifor.
In Europa "è invece la Finlandia a manifestare segnali di cedimento: secondo l’Istituto Finlandese per le Risorse Naturali (Luke), l’assorbimento di anidride carbonica da parte delle foreste finlandesi è diminuito con un andamento costante nel tempo e nel 2021 il bilancio del carbonio è diventato negativo. In questo caso le cause principali sono da ricercare nell’incremento dei prelievi di legname e nell’aumento delle emissioni da parte dei suoli a causa dell’accelerata decomposizione della lettiera dovuta all’aumento delle temperature. Analoga situazione è stata registrata in Estonia a partire dal 2020, mentre in Germania l’effetto combinato di siccità e attacchi d’insetti ha portato, dal 2017, a un declino dello stock di carbonio forestale pari a 41,5 milioni di tonnellate".
"Le cose non vanno meglio nei paesi tropicali, dove le aree deforestate o degradate dall’azione umana e da fattori naturali sono emettitrici nette di carbonio - rimarca lo studio - Nel complesso, mettendo assieme i dati e i bilanci delle emissioni su scala mondiale, le foreste, pur continuando ad avere un ruolo importante nel sequestro dell’anidride carbonica, si configurano sempre più come una fonte crescente di emissioni nette".
“In prospettiva, in mancanza di misure in grado di produrre inversioni di rotta, le cose non sembrano essere destinate a migliorare. Ad esempio, secondo uno studio del ministero dell’Agricoltura e delle Foreste degli Stati Uniti pubblicato nel 2023, le foreste statunitensi cominceranno a diminuire la loro capacità di fissazione del carbonio nel volgere di pochi anni e potrebbero diventare una fonte rilevante di emissioni a partire dal 2070. I cambiamenti in corso sono estremamente veloci, spesso più della capacità umana di prenderne atto e reagire”, afferma Mauro Masiero, direttore scientifico di Etifor.
In questo contesto, spiega Etifor, "i dati contenuti nel National Inventory Document 2025 pubblicato dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) indicano che le foreste italiane assorbono il 14% delle emissioni totali di CO2 del Paese, al netto delle perdite per incendi, attacchi di insetti, prelievi legnosi e mortalità naturale. Dato che è più che raddoppiato rispetto alle stime pubblicate nel 2022 nella precedente versione dello stesso rapporto. Un balzo di questo tipo, in controtendenza rispetto ai dati del Joint Research Center della Commissione Europea, è spiegato dal fatto che Ispra ha rivisto i dati e le stime a partire dal 2020 sulla base di nuovi strumenti disponibili: la Carta Forestale Nazionale (pubblicata nel 2024 e riferita a dati 2023), il Sistema Informativo Forestale Nazionale-Sinfor (con i nuovi dati sui prelievi) e il nuovo Inventario Forestale Nazionale, non ancora concluso ma che Ispra ha potuto utilizzare attraverso i dati preliminari di superficie".
“Se da un lato questa migliorata base informativa costituisce un elemento positivo, dall’altro il dato in controtendenza rispetto a quanto osservato in molti altri contesti internazionali autorevoli stimola riflessioni e richiederebbe una verifica. È anche su questa base informativa, infatti, che si costruiscono, tra le altre, le politiche climatiche del Paese. Abbiamo già perso il treno per gestire correttamente il ruolo delle foreste nelle politiche climatiche quando dovevamo puntare sul ruolo temporaneo di mitigazione delle foreste mentre cambiavamo il nostro modello energetico. Ora, con temperature medie salite di 1,48°, le foreste da opportunità rischiano di diventare parte del problema e devono essere gestite con maggiore cura e attenzione per non aggravare i bilanci di gas a effetto serra. È per questo che un rewilding totalmente passivo è molto pericoloso e il ripristino della natura non si identifica con l'abbandono bensì con la gestione forestale”, aggiunge Davide Pettenella, Senior Policy Advisor di Etifor.
Secondo Etifor, che attraverso la sua iniziativa Wownature interviene già attivamente su 159 aree verdi, "prendersi cura delle foreste significa favorire la loro diversità, complessità e resilienza, attraverso interventi gestionali da definire caso per caso e che possono, all’occorrenza, anche prevedere il supporto alla rinnovazione spontanea tramite la migrazione assistita, l’aumento della biodiversità con enrichment planting e interventi che favoriscano la diffusione di specie autoctone resistenti alla siccità, agli incendi, agli insetti e agli schianti da vento". Oltre a ciò, "assicurare diversità di sistemi a scala di paesaggio, ad esempio combinando aree forestali con aree umide o praterie naturali, permette una migliore gestione dei rischi climatici e porta a benefici in termini di biodiversità, favorendo anche la capacità di assicurare prodotti forestali che supportano le economie locali e favoriscono il presidio dei territori".
"I prodotti legnosi di lunga durata, come ad esempio quelli impiegati in edilizia, possono essere importanti modalità di stoccaggio del carbonio fuori dalle foreste. Interventi di questo tipo richiedono non solo competenze tecniche, ma anche strumenti e assetti di governance efficaci sul piano gestionale. Occorre, ad esempio, favorire meccanismi di collaborazione tra pubblico e privato e incoraggiare forme aggregative tra proprietari per assicurare strategie e scelte gestionali efficaci, volte ad assicurare una gestione multifunzionale dei boschi", conclude l'analisi.