America Week – Episodio 33

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Questa settimana l’America ha vissuto un momento che resterà nella storia come un segnale d’allarme per la democrazia. Il caso Kimmel non è solo una lite televisiva: è il simbolo di un attacco diretto al Primo Emendamento della Costituzione, e dunque alla libertà su cui si regge il sistema americano.

Tutto è partito da un monologo in cui il comico Jimmy Kimmel accusava la “MAGA gang” di manipolare la tragedia dell’assassinio di Charlie Kirk per guadagni politici. Poi ha mostrato un video in cui un giornalista chiedeva a Trump come stesse dopo la perdita del suo “amico”: invece di una risposta di dolore, il presidente parlava dei lavori per una nuova ballroom alla Casa Bianca. Kimmel ha commentato che Trump era “alla quarta fase del lutto: la costruzione”, paragonandolo a un bambino di quattro anni che piange un pesciolino rosso. Una battuta tagliente, che ridicolizzava Trump proprio sul terreno dell’emotività. Ed è questa parte del monologo che, più ancora della critica politica, lo ha probabilmente fatto infuriare.

Il giorno dopo, il presidente della FCC, nominato da Trump, ha minacciato Disney e ABC: se non prendevano provvedimenti, le licenze erano a rischio. Le affiliate hanno ceduto, e infine anche la rete: Kimmel è stato sospeso a tempo indefinito.

La verità è chiara: un network può scegliere chi mandare in onda, ma non può farlo sotto ricatto del governo. In quel momento non è più una decisione editoriale: è censura politica.

E come se non bastasse, Trump stesso ha rincarato la dose. Durante il volo di ritorno da Londra, a bordo dell’Air Force One, ha detto ai giornalisti che le reti televisive che parlano male di lui “potrebbero perdere la licenza”. Ha aggiunto che la decisione spetterebbe al presidente della FCC, Brendan Carr. Non più quindi solo pressioni velate, ma la minaccia esplicita del presidente degli Stati Uniti di chiudere i microfoni a chi osa criticarlo.

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