Mafia, giudice pool con Falcone e Borsellino: "Ancora oggi connivenze"
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(Adnkronos) - "C'è sempre stato un perverso intreccio politico-mafioso-imprenditoriale. Un intreccio che, purtroppo, c'è anche oggi". A parlare, in una intervista esclusiva all'Adnkronos, è il giudice Leonardo Guarnotta, che con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino faceva parte dello storico pool antimafia. Alla vigilia del 33esimo anniversario della strage di Capaci, Guarnotta parla della lotta alla mafia tra passato e presente e ricorda, non senza commuoversi, il suo rapporto personale con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. "Tuttora a Palermo è così - dice - Sono passati 33 anni dalle stragi ma è cambiato seriamente qualcosa nel pensiero dei siciliani? Degli italiani? Soprattutto nel modo di gestire la res publica da parte di amministratori e politici? Questo è il grande interrogativo che si pone a cui la Procura è tenuta a rispondere e credo che lo stia facendo".
"Il fatto che negli ultimi tempo a molti condannati sia stato dato un permesso premio è un dato di fatto. Premio di cosa? La presenza di queste persone è stata notata per caso. La Procura non lo sapeva. Uno condannato per mafia quando esce dal carcere cosa può tornare a fare?", dice riferendosi ai permessi premi dati ad alcuni esponenti mafiosi storici.
Poi aggiunge: "Non c'è dubbio che in questi ultimi periodi, nonostante i successi giudiziari ottenuti, a partire dall'arresto di Matteo Messina Denaro, sembra che la lotta alla mafia abbia segnato un passo indietro. Nonostante l'impegno lodevole del Procuratore di Palermo e dei suoi colleghi, molto impegnati nella lotta alla mafia. Quello che è importante, e la Procura ci sta mettendo il massimo impegno, è svolgere indagini per capire chi si nasconde in quel reticolo di connivenze e protezioni, di cui nel tempo, a partire da Riina ma anche Provenzano e più di recente Messina Denaro, hanno potuto godere impunemente, restando latitanti per decenni. Questo è molto importante in questo momento storico".
Ma la società civile "cosa fa?" si chiede Guarnotta. "Dopo le stragi, ci sono state molte manifestazioni. Molti cittadini avevano capito che non era il caso di fermarsi in mezzo al guado. Ma di approdare su una sponda piuttosto che un'altra. Le cose sono cambiate. Mentre prima anche i parenti delle vittime di mafia non si costituivano parte civile perché temevano ripercussioni nei loro confronti, ora le cose, per fortuna, sono cambiate, rispetto al passato. Si è capito che bisognava cambiare marcia. Poi è sembrato che qualcosa fosse cambiata, in questi ultimi tempi. Ne abbiamo avuto prova anche di recente. Basti pensare che alle ultime elezioni amministrative di Palermo c'è una fazione politica che è stata sostenuta da due condannati per mafia, senza che nessuno, a Palermo, la città di Giovanni e Paolo, avesse qualcosa da dire".
Sui rapporti conflittuali tra Salvatore Borsellino e Maria Falcone preferisce non rispondere. "Io faccio parte della Fondazione Falcone. Ma posso dire solo che per me Giovanni e Paolo sono stati più che colleghi, amici. Altro non dico".
Guarnotta non parla volentieri delle dichiarazioni rese tempo fa da un pentito di mafia, Pietro Riggio, ex Guardia penitenziaria, che aveva detto che nel 2000 Cosa nostra "voleva uccidere" il giudice del pool "per fare un favore alla politica. Riggio lo avrebbe appreso dall'ex poliziotto Giovanni Peluso, indagato per la strage di Capaci, nel 2000. "Peluso voleva essere coadiuvato in un attentato nei confronti di un giudice palermitano, il dottore Guarnotta. Le ragioni non me le disse, se non l'esigenza di rifugiarsi dopo l'attentato". A verbale aveva anche aggiunto: "Peluso mi disse che la 'nostra organizzazione' aveva bisogno di fare favori alla politica quando ve ne era la necessità. Segnatamente mi disse che era stato incarico a uccidere il giudice Guarnotta e che a tal fine aveva già eseguito un sopralluogo nei pressi di un 'palazzo', ritengo fosse quello dove abitava il magistrato".
"Guardi, me lo hanno riferito a distanza di sette, otto anni che nel 2000 mi volevano eliminare per fare un favore alla politica - dice Guarnotta- Ricordo che Paolo e Giovanni furono nel 1992 e nel 1993 fu arrestato Salvatore Riina. Mi chiedo: Se qualcuno avesse voluto continuare a uccidere magistrati, ci avrebbe pensato subito dopo, non dopo 8 anni. Ho pensato: se si doveva eliminare Guarnotta per fare un favore alla politica, io in quel periodo presiedevo il processo Dell'Utri. L'unico motivo era quello di eliminare il presidente del collegio, chiunque fosse, così avrebbero dovuto scegliere un altro magistrato e sarebbero passati altri anni. Era anche un messaggio chiaro a chi mi avrebbe sostituito, come dire: 'Stai attento, chi tocca i fili muore'. Io l'ho interpretata in questo modo. Forse, se non fosse stato arrestato Riina la sua tattica stragista sarebbe continuata, ma una volta arrestato Riina non ci sono stati più omicidi eccellenti".
"Ricordo che quando nel marzo 1993 andai a interrogare in Canada Tommaso Buscetta per definire la sua posizione, alla fine dell'interrogatorio, gli chiesi: 'Continueranno gli omicidi eccellenti?', lui ci pensò e disse: 'Credo di no, ora si faranno degli attentati al patrimonio artistico italiano' e, infatti, poco dopo ci furono i morti di Firenze, Milano e Roma che hanno causato dei morti, tra cui bambini, e tonnellate di macerie. Una previsione che si è rivelata azzeccata...".
Poi, parlando ancora di Falcone e Borsellino, si commuove: "Dopo tutto quello che è successo, anche se sono passati tanti anni, il ricordo di Giovanni e Paolo, anche di Rocco Chinnici, è sempre vivo in noi. Quelli che hanno avuto la fortuna e l'onore di lavorare con loro e di poterli conoscere, hanno vissuto una avventura giudiziaria unica e irripetibile. Sono stati compagni, amici, colleghi prima ma ancora di più amici e compagni indimenticabili di un viaggio lungo e faticoso, come lo chiamo io, ma irripetibile. In particolare Falcone e Borsellino erano diversi caratterialmente, Borsellino era più estroverso, più vicino al mio, mentre Giovanni aveva un carattere particolare. Sapeva scherzare sì, ma aveva un carattere diverso dal nostro. Era una persona dal grande animo".
"Ricordo che si interessava dei nostro figli, dei nostri genitori. Ricordo che mi fu molto vicino quando morì mio padre, in un momento così doloroso per me", dice Guarnotta.
"Parlare di Giovanni magistrato è molto facile- prosegue Guarnotta - la sua professionalità, la sua preparazione, il suo istinto, le sue competenze, il suo senso dello Stato, senso del dovere. Lo facevano lavorare dalla mattina alla sera, costringendo anche noi a farlo. Con Giovanni ho vissuto una esperienza particolare. Dopo il trasferimento di Borsellino alla Procura di Marsala, ho occupato la stanza che era stata di Paolo Borsellino, in quello che chiamavamo 'bunkerino'. E il mio vicino di stanza era Giovanni. Ci trattenevamo fino a sera, in silenzio. Ricordo che all'improvviso sentivo la voce di Giovanni: 'Leonardo, guarda che si è fatto tardi, leviamo il disturbo allo Stato'. All'inizio pensavo fosse una battuta, una delle frequenti battute. Poi mi sono accorto che quella non era una battuta scherzosa, ma una frase profetica. Diceva 'Andiamo via, perché tanto allo Stato non interessa se restiamo o no'. Una parte delle istituzioni ci seguiva e un'altra parte no". (di Elvira Terranova)