Fecondazione, l'età del padre conta: se è over 45 più rischi di aborto e insuccesso

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(Adnkronos) - Uomini mai troppo vecchi per avere un figlio? Non esattamente, secondo la scienza. Uno studio internazionale presentato al 41esimo Congresso annuale della Società europea di riproduzione umana ed embriologia (Eshre 2025 - Parigi, 29 giugno-2 luglio), con abstract pubblicato su 'Human Reproduction', "sfida la convinzione comune che l'età degli spermatozoi abbia poco peso una volta avvenuta la fecondazione". 

Gli anni del padre contano eccome, assicurano gli autori: "I cicli di fecondazione in vitro che coinvolgono partner maschi di età superiore ai 45 anni - emerge dal lavoro - comportano un rischio significativamente maggiore di aborto spontaneo e tassi inferiori di nati vivi, anche quando vengono utilizzati ovuli di giovani donatrici". In altre parole, "l'età maschile gioca un ruolo fondamentale nel successo riproduttivo". 

 

Lo studio retrospettivo ha analizzato 1.712 primi cicli di donazione di ovociti effettuati tra il 2019 e il 2023 in 6 centri fra Italia e Spagna. Per comprendere l'effettivo impatto dell'età paterna, 'isolandolo' da fattori collegati alla madre, in tutti i cicli considerati sono stati usati esclusivamente ovociti freschi di donatrici giovani (età media 26,1 anni) e sperma congelato di partner maschili, includendo solo il primo singolo trasferimento di blastocisti in donne riceventi di età media 43,3 anni. I papà sono stati suddivisi in due gruppi: uomini di età pari o inferiore a 45 anni (1.066) e over 45 (646). "Sebbene i tassi di fecondazione e lo sviluppo embrionale fossero comparabili, sono emerse differenze significative negli esiti clinici", riferiscono i ricercatori. 

"I tassi di aborto spontaneo - riportano - sono stati notevolmente più alti tra le coppie in cui il partner maschile aveva più di 45 anni, raggiungendo il 23,8% rispetto al 16,3% nella fascia d'età paterna più giovane. Allo stesso modo, i tassi di natalità sono risultati significativamente inferiori nella fascia d'età paterna più avanzata, attestandosi al 35,1% contro il 41% registrato tra gli uomini under 45". 

Afferma l'embriologa Maria Cristina Guglielmo, direttrice di laboratorio alla clinica Eugin di Taranto: "Tradizionalmente l'età materna è stata al centro dell'attenzione in medicina riproduttiva, ma i nostri risultati dimostrano che anche l'età del partner maschile gioca un ruolo cruciale e indipendente" da quella della madre biologica. "Anche utilizzando ovociti di donatrici giovani e sane e trasferendo un solo embrione di alta qualità, abbiamo osservato risultati peggiori negli uomini di età superiore ai 45 anni". 

Perché? "Con l'invecchiamento - spiega la specialista - la continua divisione delle cellule staminali spermatogoniali" che sono i precursori degli spermatozoi "aumenta il rischio di errori di replicazione del Dna. Ciò si traduce in un maggior numero di nuove mutazioni genetiche e in un tasso più elevato di aneuploidie spermatiche", cioè casi "in cui gli spermatozoi presentano cromosomi anomali". Inoltre, "l'età paterna avanzata è anche collegata a una maggiore frammentazione del Dna spermatico e a cambiamenti nel profilo epigenetico degli spermatozoi, come la metilazione del Dna". Considerati tutti "insieme, questi fattori influenzano sia l'integrità genetica sia la qualità funzionale degli spermatozoi, il che può compromettere lo sviluppo dell'embrione e contribuire a un rischio maggiore di aborto spontaneo". 

Per Guglielmo i risultati della ricerca "sottolineano la necessità che le cliniche della fertilità adottino un approccio più equilibrato, che riconosca il ruolo dell'età paterna anche nei cicli di ovodonazione in cui i fattori materni sono controllati. Le cliniche - suggerisce l'esperta Eugin - dovrebbero garantire che i pazienti maschi siano pienamente informati su come l'avanzare dell'età paterna possa influire sul potenziale di fertilità, sul successo della gravidanza e sul rischio di aborto spontaneo. I nostri studi futuri - prospetta l'autrice - mireranno ad approfondire la comprensione dei meccanismi biologici alla base dell'impatto dell'età paterna, concentrandosi sul danno al Dna spermatico, sullo stress ossidativo e sui cambiamenti epigenetici". 

Al di là del successo 'tecnico' della procedura di procreazione medicalmente assistita, Guglielmo invita a considerare come l'età del padre possa condizionare la salute della prole. "Esistono prove crescenti che collegano l'avanzare dell'età paterna a un aumento del rischio di disturbi dello sviluppo neurologico nei bambini", ricorda. Per questo "il nostro lavoro futuro studierà gli esiti a lungo termine dal punto di vista della salute e dello sviluppo dei bambini concepiti tramite cicli di ovodonazione con padri anziani, in cui i fattori materni sono ridotti al minimo per isolare più chiaramente gli effetti paterni". 

Carlos Calhaz-Jorge, ex presidente dell'Eshre, commenta così il lavoro: "Questo è un articolo importante che richiama l'attenzione su un fattore spesso trascurato nel campo della fecondazione in vitro. Sebbene potrebbe essere interessante suddividere ulteriormente il gruppo 'età paterna più avanzata'", per capire se "ad esempio gli uomini over 55 mostrerebbero risultati ancora peggiori, i risultati presentati dovrebbero essere seriamente considerati durante il processo di consulenza per le coppie in cui il partner maschile ha più di 45 anni". 



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