Iran, Bertolotti (Ispi): "Blocco Stretto Hormuz? Guerra ibrida e cyberattacchi tra opzioni"
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(Adnkronos) - Mine navali, barchini, droni d'attacco, droni navali, ma anche sabotaggi, una risposta asimmetrica, una guerra ibrida, cyberattacchi e l'aiuto dei proxy. Sono infinite le opzioni per l'Iran che minaccia la chiusura dello Stretto di Hormuz, rotta strategica per tutti, compresa la Repubblica Islamica che dal 13 giugno è coinvolta nel conflitto con Israele e che è stata teatro di raid Usa contro tre siti del suo controverso programma nucleare. "L'Iran potrebbe fare due cose: agire direttamente o indirettamente", dice all'Adnkronos Claudio Bertolotti, direttore di Start Insight e analista dell'Ispi. E' stato capo sezione contro-intelligence e sicurezza della Nato in Afghanistan e spiega come nel primo caso l'Iran potrebbe posizionare mine navali. "Ne ha di convenzionali o intelligenti o limitatamente intelligenti e sono facilmente dispiegabili con piccole imbarcazioni o sottomarini costieri". Ed è "l'approccio soft", ma "più impegnativo rispetto ad attacchi con missili antinave o missili balistici o da crociera che possono colpire obiettivi in transito".
Senza contare che ci sarebbe poi la questione dello sminamento. E, osserva, "le mine sono una minaccia per le navi in transito, ma anche per gli asset che si occupano di sminamento e che possono essere sottoposti a fuoco avversario" durante le attività. "Una nave ferma è una nave che rischia di essere ancor più obiettivo di quanto non lo sia una nave in formazione e avere una flotta bloccata è un rischio per gli Stati Uniti", sottolinea, convinto che gli Usa "interverrebbero nella fase di posa delle mine, senza attendere che la minaccia si concretizzi". Un'operazione che anderebbe comunque "a incidere solo su una percentuale delle mine collocate", ma complicherebbe le cose per l'Iran, che "non avrebbe gioco facile". L'obiettivo resta sempre "rallentare, non distruggere".
C'è anche, continua Bertolotti, la possibilità di un "blocco con mezzi convenzionali, con la Marina, la componente navale dei Guardiani della Rivoluzione". Consisterebbe in "fermo e sequestro di petroliere come avvenuto in passato". Poi c'è la 'lezione Ucraina', quella della guerra dei droni in cui l'Iran è accusato di coinvolgimento. E si passa a un piano più "evoluto". Ovvero quello di "droni d'attacco o droni navali per disturbare o danneggiare la navigazione commerciale in modo mirato". Ma, evidenzia l'esperto, sarebbe sempre una scelta "sostenibile solo nel breve periodo".
L'eventuale chiusura da parte dell'Iran dello Stretto di Hormuz comporterebbe ripercussioni per gli Stati Uniti, ma avrebbe "molto più impatto sul resto del mondo", Cina in particolare, ha detto il segretario di Stato Usa, Marco Rubio. "Se minassero lo Stretto di Hormuz i cinesi pagherebbero un prezzo enorme e ogni Paese del mondo pagherebbe un prezzo enorme. Anche noi", ha affermato. Pechino, ricorda Bertolotti, "ha un rapporto privilegiato con l'Iran ed è preoccupata perché il naviglio sarebbe esposto a rischi e a un costo maggiore di gestione, aumenterebbero gli oneri assicurativi". E anche per questo l'esperto parla di scelta "sostenibile solo nel breve periodo".
La seconda opzione, ovvero "agire indirettamente", comporterebbe una "delegittimazione della sicurezza navale, sabotaggi, che vanno a ridurre la fiducia, e attacchi per procura attraverso le milizie alleate". In particolare, gli Houthi dello Yemen che - evidenzia - "mantengono una capacità militare consistente e possono colpire nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico". Inoltre, "impiegare i barchini è un'opzione e farlo in maniera indiretta li esporrebbe, anche se non formalmente perché andrebbe tutto ricondotto all'Iran in modo più complicato" e "in 50 anni" la Repubblica Islamica ha "imparato a muoversi bene sia sul piano diplomatico che 'sottosoglia'", ha "imparato a fare senza spesso vedersi attribuite responsabilità". Infine, ma non per importanza, "guerra ibrida e attacchi cibernetici che sono in grado di colpire i sistemi di navigazione" sono un'altra possibilità.
Scenari possibili, resta la domanda: a cosa servirebbe? "La minaccia della chiusura o la potenziale chiusura temporanea dello Stretto di Hormuz - risponde Bertolotti - servirebbe come strumento di deterrenza o pressione negoziale". Sarebbe più questo che un'opzione "realmente applicabile", commenta, sottolineando come "non sia sostenibile nel medio e nel lungo periodo". Solo nel breve, "come strumento negoziale a fronte però delle ripercussioni che ne deriverebbero".
Non mancano le incognite. Innanzitutto, prosegue nella sua analisi, "perché la risposta degli Stati Uniti potrebbe essere molto decisa nel caso in cui l'Iran dovesse azzardare". Ed è convinto l'Iran "stia giocando la carta della chiusura di Hormuz come strumento negoziale" sebbene in un "contesto completamente nuovo", come quello di "un conflitto aperto, come non c'è mai stato, tra Iran e Israele e Iran e Usa". "E' cambiato il paradigma - osserva - non è più la politica di deterrenza e minaccia, siamo alla guerra combattuta tra Israele e Iran".
L'obiettivo, rimarca, "è spingere verso una soluzione negoziale che sia favorevole all'Iran perché il rischio grande e senza precedenti per il regime degli ayatollah è che potrebbe essere il momento in cui si potrebbe vedere l'ipotesi di un regime change". E l'ipotesi più rosea è quella di un "sistema democratico sostenuto dalla popolazione". Ma, conclude mentre Trump sembra volere nuovo Iran, il 'suo' Miga, "c'è da temere che spinte centrifughe interne all'Iran e autonomiste possano spingere verso una guerra civile, i cui esiti sono terribilmente prevedibili e immaginabili".