Alla giovane di 28 anni

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Computiamo questi anni che passano, pensando al lavoro che resta precario o, peggio, un sogno, o alla ruga in più o ai primi capelli bianchi. I fortunati (pochi) valutano contenti invece il patrimonio aumentato sperando in meglio, preparando la settimana bianca. Tutti, più o meno, attenti alla salute, alla linea o alle prese con gli acciacchi d'età e preoccupati per quello che i media, ossessivamente, rimandano d'efferatezze varie. La show maggiormente seguito è la truce e ormai persecutoria cronaca nera. Individui e gruppi familiari agiscono, in questo contesto, come entità molto attente a se stesse e disinteressate all'utilità sociale. Si lamentano solo quando quel che gli occorre - i servizi pubblici o il benessere diffuso che crea profitto e occupazione - funziona male o manca. Tali cose le scriviamo da anni, perchè questo nostro mestiere pone a contatto diretto con la realtà che, prima di farsi leggere, s'offre all'olfatto... Qualche giorno fa, poi, sono state ribadite nel rapporto del Censis sul 2007 che definisce la società italiana "poltiglia di massa, mucillagine", indifferente al futuro e ripiegata su se stessa. Il pessimismo la fa tanto da padrone che molte intelligenze vanno a rischiarsi o a svilupparsi all'estero. I redditi dalla grande maggioranza dei compatrioti, del resto, sono considerati inadeguati o a rischio povertà, il primo sintomo questo della frustrazione che del pessimismo è al tempo stesso causa ed effetto.

In questi stessi giorni, è giunta in redazione una lettera d'una 28enne sulla situazione sociale coerente con quanto detto dal Censis. La mittente individua uno dei maggiori responsabili nella generazione del '68, nei giovani del tempo. Essi avrebbero profittato del benessere allora trovato, per contestare il sistema prima e per occupare poi tutti gli spazi di potere, non avendo ancora intenzione di farsi da parte in favore dei giovani. Lei ha studiato e si prodiga, ma teme di non poter avere mai un lavoro stabile, una casa. Generalizzare è erroneo, ancor più sulle generazioni. I comportamenti delle persone, per quanto comuni, derivano da storie diverse, a volte opposte e, se visti da vicini, hanno tante sfumature da scolorirsi quasi del tutto. Seppur tra i più giovani, a quella generazione ho appartenuto. E assicuro che al liceo eravamo diversi l'uno dall'altro, come nelle organizzazioni politiche o nel "movimento". Il conflitto maggiore allora avvenne in famiglia, soprattutto coi padri: al tempo del beat, inseguendo acconciature e abbigliamento e miti musicali, almeno, tra il 1964 e il 1967. Poi tra la fine del "decennio irripetibile" e la metà dei '70, la messa in discussione fu più profonda e riguardò le altre autorità: la scuola e i saperi, il potere in primis politico, il rapporto tra i sessi, la religione, le arti e la cultura. Detto ciò, è vero quel che la lettrice dice, che moltissimi di quei contestatori e rivoluzionari hanno dimenticato con facilità gli slogan urlati, le idee che c'erano dietro. Smettendo con l'eskimo, la ricerca, nella propria esistenza, anche del vivere meglio collettivo, a partire dai giovani, dai loro figli (ma va pure detto che non tutti "crescendo" hanno pensato solo a far soldi o a circumnavigare instancabilmente il proprio ombelico e che, imbiancati e ingrassati, ancora operano e vivono "impegnandosi nel sociale", magari insistendo con ostinati giornali di provincia...).

Mentivano tutti allora? No, anche se moltissimi erano trasportati dal clima impetuoso e turbolento, ma non pochi hanno pagato quelle battaglie, a prezzi a volte alti, all'epoca dei fatti e/o successivamente. Erano (eravamo) diventati di sicuro consapevoli - perchè avevano studiato più dei genitori - dell'ipocrisia sostanziale di certe figure e istituzioni della società. E, nel contempo, erano inondati e sospinti dalla ventata d'ottimismo che non aveva cessato di soffiare dal boom economico dei primi anni '60 migliorativo delle condizioni di vita, in proporzioni diverse, di tutta la società. Ed è proprio quando sei più forte e più robusto che hai anche il coraggio per rischiare di più, di andare pure oltre le righe. Poi, c'era la classe operaia che dava l'esempio dell'unità che faceva la forza, che otteneva miglioramenti economici e delle condizioni in fabbrica, lo Statuto dei lavoratori. Ora si arricchiscono in pochi e s'impoveriscono in molti, salari e stipendi non reggono il costo della vita (naturalmente per chi li ha). E i pochi operai superstiti muoiono bruciati vivi come ai tempi dei padroni delle ferriere. Ma non andrà sempre così. Non ci si può, non ci si deve far avvinghiare dai tentacoli del pessimismo rinunciatario che, già nell'oggi, si mangia il futuro, divora la vita. Cosa avrebbero dovuto dire e fare, allora, i nostri nonni, quando si trovarono per colpa del fascismo a vivere nell'Italia fatta a pezzi e nel lutto? Molti emigrarono. I più restarono, tra cui tanti giovani, pure di 28 anni. Possedevano spesso solo le loro mani nude. E la rabbia e il decoro di questa ragazza che ci ha scritto e che non ci sta a pagare le colpe di chi ha fatto macerie dei diritti, siano o no gli ex sessantottini. Conta poco. A lei che non conosco, a lei per prima, alla sua indignazione e alla sua caparbia ricerca della felicità, e poi a tutti noi, gli auguri di un buon 2008. Che non sia sola.



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