L'Analisi. Banche, tasse e chi non riesce a pagare il mutuo

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Il decreto sulla tassazione degli extra-ricavi bancari non riguarda i mutui già stipulati. Non risolve dunque il problema principale emerso con l’aumento delle rate dei mutui a tasso variabile. Per farlo vanno seguite altre strade, coinvolgendo le banche.

La tassa sugli extra-ricavi

La volontà del governo di tassare quelli che considera ingiusti extra ricavi (che non sono extra profitti) delle banche dovuti all’allargarsi della forbice tra tassi attivi e passivi è oggetto di molti argomentati rilievi critici, a cui si aggiungeranno, con ogni probabilità, quelli della Banca centrale europea. È comunque altrettanto probabile, vista la rivendicazione politica della paternità da parte della presidente del Consiglio, la conversione in Parlamento del decreto legge 104/2023, seppure con le correzioni immediatamente preannunciate all’interno della stessa maggioranza che l’ha approvato.

Può essere allora utile fare chiarezza sugli effetti del provvedimento e indicare alcune linee d’azione, quantomeno per rendere più efficace l’impiego del gettito, per il momento, è bene precisarlo, non quantificato nemmeno nella relazione tecnica al decreto legge.

La destinazione del gettito

L’imposta dovrà essere versata dalle banche entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio 2023, quindi nella seconda metà del 2024. Solo allora si scoprirà come il gettito sarà ripartito tra le due finalità di cui è previsto il finanziamento: a) gli interventi volti alla riduzione della pressione fiscale di famiglie e imprese (banche escluse, si deve ritenere; b) il fondo di cui all’articolo 1, comma 48, lettera c) della legge 147/2013, il cosiddetto fondo prima casa.

Per gli interventi sulla pressione fiscale, la dizione è talmente vaga e generica da rendere impossibile individuare la direzione che la riduzione di imposte intraprenderà, se verso un sistema fiscale progressivo o regressivo. Più specifica la misura rispetto al secondo obiettivo. Il governo si propone di favorire l’acquisto da parte delle famiglie della proprietà della prima casa. In estrema sintesi, il fondo offre una garanzia del 50 per cento sui finanziamenti il cui ammontare non superi i 250 mila euro.

Accedono con priorità al fondo, che ha già una consistente dotazione (330 milioni di euro a fine 2022, secondo Mario Sensini, Corriere della Sera, 9 agosto 2023), le giovani coppie di recente formazione, i nuclei familiari monogenitoriali con minori conviventi, gli assegnatari delle case popolari. Fino al prossimo 30 settembre la percentuale di copertura è elevata all’80 per cento per i soggetti il cui Isee non superi i 40 mila euro annui.

È evidente, quindi, che, al contrario di quanto si faceva intendere nella conferenza stampa successiva alla approvazione del decreto, con questo strumento non si interviene sui mutui già in ammortamento e dunque la misura non serve per affrontare il problema principale emerso con la lievitazione delle rate dei mutui a tasso variabile, divenute troppo onerose.

Per agevolare le famiglie in difficoltà per l’accresciuta onerosità dei mutui in essere, il gettito dell’imposta sugli extra ricavi dovrebbe essere convogliata sul cosiddetto fondo Gasparrini, che interviene per aiutare i soggetti possessori di prima casa, i quali, per ragioni non dipendenti dalla loro volontà, registrano una riduzione del reddito, con conseguente difficoltà nel pagamento delle rate. Il fondo consente di beneficiare di una moratoria di 18 mesi nell’ammortamento del mutuo, con il pagamento del 50 per cento degli interessi sulle rate saltate.

Le attuali condizioni non consentono l’accesso al fondo alle famiglie che non accusano una riduzione del reddito, anche se devono pagare rate molto più elevate di prima proprio a causa dell’aumento dei tassi. Naturalmente, quando il fondo fu istituito il problema dell’aumento delle rate a tasso variabile non era all’ordine del giorno, ma ora è diventata una situazione diffusa che si potrebbe affrontare, come abbiamo già prospettato, affiancando al requisito del reddito quello della sostenibilità del mutuo. Si tratterebbe, in sostanza, di consentire l’intervento del fondo anche quando il rapporto tra la rata e il reddito supera il livello precedente di una percentuale da definire.

Questo potrebbe diventare un criterio di eleggibilità generale, sostitutivo anche di quello relativo alla riduzione del reddito. In fin dei conti, dovrebbe essere indifferente se l’insorgere della difficoltà nel pagamento delle rate dipende da un aumento del numeratore o da una diminuzione del denominatore del rapporto rata/reddito. Una sostanziale iniezione di risorse in questo strumento, accompagnata dalle opportune modifiche legislative, potrebbe essere molto più efficace e realistica per affrontare quelle problematiche sociali che il governo dichiara di voler risolvere con il gettito dell’imposta.

Un contributo anche dalle banche

Le probabilità di modificare l’originaria impostazione della norma sugli extra ricavi (articolo 26 decreto legge 104/2023) aumenterebbero se le banche manifestassero la disponibilità a fare la loro parte. L’ipotesi sulla quale gli istituti di credito potrebbero “sfidare” il governo è quella di dichiararsi pronti a costituire un proprio autonomo fondo alimentato anche con una percentuale maggiorata dagli importi che verrebbero sottratti dall’ammontare delle imposte da versare: per esempio, per ogni 100 euro non versati al fisco, un conferimento di 120 euro.

Il fondo, che fra l’altro avrebbe il merito di essere immediatamente operativo, potrebbe articolarsi in molteplici forme di sostegno ai mutuatari in difficoltà: da un prolungamento del periodo di moratoria concesso dal fondo Gasparrini , all’accollo di una quota di interessi oltre quella da esso pagata, alla rinuncia alla capitalizzazione degli interessi sulle rate oggetto di moratoria il cui pagamento viene posticipato, fino a incentivare la trasformazione dei mutui da tasso variabile a tasso fisso. La lista, naturalmente, può essere integrata e le modalità tecniche dovrebbero essere approfondite nell’ambito del negoziato tra governo e associazioni di categoria, ma un accordo potrebbe giovare a tutti.

Nel momento in cui l’ammontare dell’imposta sarà quantificata, le banche dovrebbero versare solo la parte non utilizzata per le attività del fondo e avrebbero il vantaggio di evitare la morosità di un numero indefinito di mutuatari, con le possibili perdite da coprire per i crediti che diventano sofferenti. Per il governo un accordo di questo tipo sarebbe forse meno spendibile per la narrazione populista, ma sicuramente utile per risolvere le difficoltà di decine di migliaia di famiglie.

Raffaele Lungarella (Docente di Economia)
Francesco Vella (Docente di Diritto Commerciale e Diritto Bancario all’Università di Bologna)
Per gentile concessione www.lavoce.info



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