Cives, i cattolici per pensare ad un progetto di nuova cittadinanza

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Una riflessione che è partita dall’interrogativo se i cattolici impegnati sono una minoranza creativa della società italiana è stata al centro dell’ottavo incontro di “Cives - Laboratorio di Formazione al Bene Comune”, svoltosi giovedì 20 febbraio. Nella sala del Centro di Cultura “Raffaele Calabrìa” della Diocesi di Benevento, hanno discusso del tema Giorgio Campanini docente Emerito di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università di Parma e voce del mondo cattolico italiano e Monsignor Mario Iadanza direttore dell’Ufficio Cultura e Beni Culturali della Diocesi di Benevento. “Si tratta di un incontro importante – ha esordito Ettore Rossi, direttore dell’Ufficio per i Problemi Sociali e il lavoro della Diocesi di Benevento – perché i cattolici sono soci fondatori del Paese, grazie ad una presenza esercitata in forma laica e condivisa anche da soggetti culturalmente diversi. Questa esperienza del laicato italiano deve essere considerata conclusa? Probabilmente, invece, dovremmo darci uno spazio ecclesiale all’interno del quale cristiani impegnati e pastori possano confrontarsi, cercando di elaborare proposte per essere davvero una minoranza creativa”. Ricorrendo all’esempio di S. Giovanni di Dio, Monsignor Iadanza ha introdotto il proprio intervento. “Dovremmo chiederci che tipo di società vogliamo costruire, perché il rischio è che tutto passi invano, che ci avvolga di nuovo la spirale del consumismo più sfrenato. Dovremmo invece cominciare a pensare in altri termini: di sobrietà, condivisione, autolimitazione, anche per quanto riguarda il discorso democratico perché c’è il rischio che le nostre siano democrazie senza democrazia. Dobbiamo ripensare qualche passaggio, perché quando il potere assume forme violente abbiamo un diritto/dovere al dissenso. Pensare è l’azione più eversiva che ci sia. Dal punto di vista operativo dovremmo riprendere quei pensatori che per troppo tempo abbiamo lasciato in soffitta: non nascondiamo la debolezza attuale del tessuto culturale cattolico. E dovremmo, infine, ripartire dal basso, ricostruendo brandelli della trama, tornando al quotidiano, al popolo, ricucendo quelle reti solidali che sono state lacerate dall’individualismo imperante. Scommettiamo tutto su un altro stile di vita e un tentativo di ricominciare”. Subito dopo è intervenuto Giorgio Campanini, sfatando un mito dato troppe volte per certo. “Dobbiamo prendere atto che il peso del cattolicesimo in Italia resta più forte rispetto agli altri paesi europei; il legame con la tradizione del cattolicesimo non si è ancora interrotto. Abbiamo, invece, una zona d’ombra abbastanza vasta, dove non si possono collocare i credenti ma che non può essere considerata completamente atea. Inoltre, dobbiamo comprendere che l’essere in minoranza sul piano politico non vuol dire essere insignificanti dal punto di vista sociale”. Un contesto di non immediata lettura, dunque, ma che secondo il docente lascia intravedere qualche spiraglio di intervento. “Stiamo in qualche modo uscendo dal tunnel e si profila lo spazio per una nuova generazione di cattolici. I cattolici devono riprendere a pensare un progetto di nuova cittadinanza. La loro proposta si giocherà su tre temi: economia e lavoro; il rapporto tra lo Stato centrale e le realtà locali; il ruolo dell’Europa. Tutti questi temi devono essere affrontati certamente in modo collettivo ma assolutamente unitario, perché è innegabile che l’attuale frammentazione dei cattolici contribuisca a rendere il quadro ancora più difficoltoso: i cattolici sono dappertutto, eppure si ha la sensazione che non siano da nessuna parte. Dobbiamo sforzarci di pensare uniti, anche se ciò non vuol dire agire insieme, riuscendo a trovare dei luoghi nei quali si possa dialogare partendo dai valori comuni”. Proprio sulla ricerca e sulla creazione di questi luoghi, Campanini ha insistito, come punto per una nuova partenza: “Questi luoghi dovrebbero essere elaborati dai laici cattolici nella loro autonomia, per elaborare eventualmente proposte comuni; senza dimenticare la diffusa disaffezione, non solo dei cattolici, ai problemi della politica. Dobbiamo prendere atto di una scarsa partecipazione alla vita pubblica e al dibattito culturale dei cattolici in questi ultimi anni. Pertanto dobbiamo assolutamente riprendere un discorso formativo che è stato abbandonato”.



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