A Pietrelcina secondo seminario su ‘Inclusione’. L’io-tu diviene noi

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Secondo incontro del IX Ciclo di Seminari sulla Pace intorno al tema dell’“Inclusione” tenutosi, martedì a Pietrelcina. L’appuntamento ha affrontato il tema dell’“Incontro con l’altro attraverso la comunicazione e la consapevolezza dell’ “io-tu” che diviene integrazione del “noi”.
Presente il Dirigente dell’U.S.P. di Benevento Angelo Martucci e le relatrici dell’incontro, la Psicologa clinica e Consulente familiare Gabriella Buonanno e il medico Chirurgo e Consulente familiare Maria Antonietta Santagata.
Martucci, nel salutare i presenti, ha ribadito il diritto di ogni individuo ad essere parte del tutto e che le differenze, fisiologiche nella società, spesso vengono mortificate da comportamenti che generano razzismo.
Ha preso poi la parola la Buonanno che ha realizzato il suo approccio comunicativo ricorrendo, in prima battuta, ad una lezione esperenziale con la costruzione di una rete di rapporti tendendo un lungo filo che passato da un presente all’altro e legandoli idealmente, presupponeva che ciascuno si presentasse con il proprio nome specificando la scuola di appartenenza e che la costruzione del ‘lavoro di rete’ risponde ai bisogni delle singole persone, pur rispettando l’unicità e originalità individuale, in tal modo l’“io-tu” diventa “noi”. “Il lavoro di rete consente, attraverso la cooperazione, il raggiungimento di un obiettivo comune – ha precisato la Buonanno - . La rete è pronta quando ciascuno è disponibile ad ascoltare l’altro per conoscere i bisogni altrui, qualunque essi siano”. Ha poi suggerito l’avvio di laboratori pratici gestiti dagli stessi allievi, quasi costruzione di ‘tele’ di sentimenti e talenti, realizzando una forma d’integrazione attraverso processi emotivi. Riferendosi poi al mondo della scuola, ha precisato inoltre che “il reciproco amore fra chi insegna e chi apprende è il primo gradino verso la conoscenza” come affermava Erasmo da Rotterdam nel ‘500; in tal modo l’integrazione si realizza attraverso l’elaborazione del vissuto di ciascuno per giungere alla consapevolezza delle proprie reazioni emotive. La scuola deve diventare dunque “famiglia” che ascolta e s’immedesima, aprendosi alla storia di appartenenza del ragazzo, in merito alle diversità storiche, culturali, geografiche, religiose che lo caratterizzano, consentendo lo sviluppo del sentimento di appartenenza e favorendo il processo di autostima e autorealizzazione, in un processo che trasforma l’“io-tu” in un “noi”. Ha ancora ricordato le parole di Mandela secondo cui “l’educazione è l’arma più potente che si può usare per cambiare il mondo”. L’inclusività non è solo un dovere civico, ma anche una forma di rispetto della legalità, infatti il rispetto delle differenze, oltre a favorire rapporti di empatia ed inclusività, rappresentano un dovere civile. E’ possibile immaginare di inserire nei percorsi laboratoriali di inclusione, anche i genitori dei minori di altra cultura ed etnia, coinvolgendo anche gli adulti in quei processi affettivi che facilitano la flessibilità relazionale. Dopo aver posto, inoltre, l’attenzione a forme di comunicazione diversa evidenziate da ‘posture’ particolari nei rapporti relazionali, la Buonanno ha chiesto ad una presente di costruire un gruppo – nel caso una famiglia- ponendo i membri della stessa in precise posizioni delle quali ha dovuto dare motivazioni ed ha avviato un nuovo ‘gioco’ in cui ciascuno trascrivesse su di un foglio il proprio nome in verticale apponendo, accanto ad ogni lettera, una parola o concetto che partisse da quella lettera, il tutto con lo scopo di avviare un processo di scoperta del sé e della propria identità. “L’autoconoscenza è infatti il primo passo verso la conoscenza dell’altro” – ha commentato la Buonanno.
Ha preso la parola poi la Santagata che ha tenuto a ricordare che ogni processo di integrazione presuppone che siamo disponibili a ‘togliere’ qualcosa a noi, processo a volte anche doloroso, per accettare la visione dell’altro. “Nel nostro paese ci sono oggi più di 4milioni di immigrati regolari: per molti è possibile operare forme di integrazione, per altri è impossibile per il rifiuto da parte loro della nostra cultura. Come diverso è l’approccio tra la prima e la seconda generazione di immigrati: per i primi è spesso insormontabile la difficoltà del “passaggio del confine”.

Eusapia Tarricone



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