Sant'Agata de' Goti. Mons. Battaglia ai giovani: "Voi siete il presente ed io vi sono accanto"

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Ingresso a Sant'Agata di mons. BattagliaIngresso a Sant'Agata di mons. Battaglia

Quindici giorni dopo il suo arrivo in diocesi Monsignor Battaglia fa il suo ingresso anche a Sant'Agata de'Goti. Nel centro caudino entra a piedi e rinuncia a salire sul cavallo, spezzando così secoli di tradizione.
 
Non ha soste il viaggio del nuovo vescovo della diocesi di Cerreto Sannita – Telese e Sant’Agata de’Goti. Don Mimmo Battaglia quest’oggi ha fatto il suo ingresso nel centro saticulano prendendo possesso di quella che fu la cattedra di Sant’Alfonso. Accolto all’ingresso della cittadina dal sindaco Carmine Valentino e dai vertici militari e civili della provincia: presenti il comandante dei Carabinieri Puel, il comandante De Nisco, il comandante della Guardia di Finanza Migliozzi, il questore Bellassai, il vicario De Feo, Renato Lombardi per la Provincia di Benevento, i sindaci di Telese e Cerreto Sannita, del comprensorio del telesino e del caudino.

Come tradizione vuole, ad aspettare l’arrivo di mons. Domenico Battaglia c’è anche un cavallo, da sempre infatti il presule a Sant’Agata de'Goti vi entra montando in sella. Non don Mimmo però che al suo posto fa sedere un bambino, un gesto, un simbolo che ritornerà più avanti nel corso della cerimonia. Dopo aver percorso il viale e salutato gli alunni nei presso dell'Istituto scolastico, ecco piazza Trieste.

Sul palco sale il primo cittadino che rivolge il suo saluto. “Eccellenza, oggi fa il suo ingresso a Sant’Agata, in quella che fu la sede della diocesi che fu di Sant’Alfonso Maria de’Liguori, Felice Perretti poi papa Sisto V, Ettore Diotallevi e di altri vescovi che hanno aperto le menti di un popolo fiero e laborioso. Oggi qui, la sua presenza è segno di nuova speranza. Le auguro di essere il pastore che vive nel suo gregge, del fare e non del dire, che ascolta il grido del suo popolo. Ci auguriamo che la diocesi divenga sempre più composta di comunità inclusive alla ricerca di una sola grande entità. Lei oggi c’è, ed esserci significa servire, condividere, sentirsi parte di qualcosa e non emarginato. Oggi è un nuovo inizio, è un dono, come lei lo è per noi. Le Auguro di essere alla guida di un popolo sempre più numeroso ed in cammino”.

Dopo il saluto di Valentino, è mons. Battaglia a prendere la parola. “Non volevo parlare – dice – il messaggio alle autorità l’ho già dato 15 giorni fa (leggi qui). In questi giorni però, sono accadute cose importanti. Ecco, voglio lasciarvi tre immagini. Le stelle i fiori e i bambini sono le cose che ci sono rimaste del paradiso – aggiunge – e sapete perché ho scelto di far sedere un bimbo sul cavallo che simboleggia la forza e la virilità? Ebbene, nella Bibbia il cavallo è espressione della fragilità ma anche di chi confida troppo in se stesso. Oggi abbiamo tutti ricevuto un dono. Abbiamo visto la fragilità portare sulle spalle l’ultima cosa rimasta del paradiso: i bambini. E dunque, non mi resta che difendere quello che rimane del paradiso. Oggi abbiamo visto la fragilità farsi forza per andare oltre. Ogni volta che ci sarà un bambino a cavallo significa che stiamo andando nella direzione giusta, perché i bambini non sbagliano mai strada”.

La seconda immagine che don Mimmo lancia dal palco è dedicata al lavoro e alla sua visita, fatta alcuni giorni fa, al CMR che vive un momento di difficoltà. “Il diritto alla cura, il diritto alla salute vanno tutelati altrimenti non c’è futuro. I diritti vengono prima del lavoro ed il lavoro non può essere privato di diritti. Non c’è giustizia senza lavoro e non può esserci lavoro senza giustizia”. Mentre mons. Battaglia parla, una bambina sale sul palco, si chiama Costanza è una dei piccoli pazienti del Centro Medico Erre e le mamme presenti si lasciano andare ad un pianto liberatorio.

La terza immagine è quella del silenzio, ed è rivolta a quanto accaduto nella serata di sabato a Telese, dove un giovane 15enne ha perso la vita dopo essere stato travolto da un treno. “E' una sconfitta per tutti nessuno escluso” ha tuonato don Mimmo mentre dalla folla si è alzato un applauso. “Lavoriamo insieme, incontriamoci, soprattutto per chi non ce la fa – aggiunge – dobbiamo avere il coraggio di investire sui sogni di tutti i nostri ragazzi”. E a loro dice, “Non fatevi rubare il futuro perchè è speranza. Ricordate che voi siete il presente e io vi sono accanto”.

Il viaggio di don Mimmo prosegue, prima con la visita al Monastero delle Redentoriste e poi la benedizione ai piedi della statua di Sant’Alfonso. Gremito il Duomo, così come la piazza. Tutti ammutoliscono quando don Mimmo nell’omelia commenta la “parabola del buon samaritano”. “Vedere, fermarsi, toccare” queste le parole chiave indicate dal vescovo, tre azioni concrete. “Nel vangelo – dice – ogni volta che Gesù si commuove si ferma e tocca, non è un fatto emotivo ma concreto. Se non si ferma un sacerdote davanti ad un popolo caricato di ferite, se la religione non propone la salvezza dell’uomo, che religione è? Una religione che non si ferma è inutile”.

Parla di “peccato di omissione” mons. Battaglia, di “umanità”, il suo discorso è intriso di concetti sociologici, predica la giustizia sociale. Cita ancora una volta don Lorenzo Milani e lancia moniti pesantissimi “non c’è umanità senza compassione”. Parla ancora di prossimità, illustra il decalogo dell’amore ed in un verbo “tu amerai”. “La solidarietà è una conquista – dice ancora il presule – che mette al centro il dolore dell’altro. Bisogna scendere dai palazzi, dalle cattedre e lasciarsi trasportare dalla pietà che è quel sacramento che ci fa sentire umanità. L’amore non fa mai richieste”.

Il servizio a favore degli ultimi senza però sfruttare loro. È questo l’ultimo passaggio dell’omelia. “Fa strada agli uomini senza farti strada – conclude – oggi uomini continuano ad essere sfruttati. Sappiamo che la solidarietà da sola non basta, va accompagnata all’orizzontalità, dal rispetto dell’altro, dalla progettualità, non c’è solidarietà senza giustizia, senza relazione. Il problema dell’altro è uguale ad un problema mio”.

Michele Palmieri



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