Colpito il business delle 'agromafie'. Coldiretti: 'Speculazione che vale 300 volte in piu' sul prezzo'

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Maxi operazione della Dia di Roma nei centri di distribuzione ortofrutticoli di Fondi e Giugliano. Le mani dei boss sul trasporto della frutta. Infatti le cosche, riconducibili al clan dei “Casalesi” e dei “Mallardo” ma anche a “Cosa Nostra”, imponevano che il trasporto avvenisse attraverso alcune ditte a loro legate.

100 milioni di euro di sequestri e venti arresti. È il bilancio dell’operazione condotta dalla Dia di Roma e cominciata stamani all’alba, in azione anche uomini a Napoli, Salerno, Palermo, Caltanissetta, Bologna e Catania. I boss avevano messo le mani sui mercati ortofrutticoli di Giugliano e Fondi. Un’operazione che è scattata su più fronti perché non era solo la camorra  (clan Mallardo e dei Casalesi) a gestire il trasporto su gomma dei prodotti ortofrutticoli ma anche gruppi appartenenti alla Mafia siciliana.

Si utilizzavano infatti società “amiche” alle cosche annullando in pratica la concorrenza a ciò era collegata anche una rete di estorsioni. Le ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal gip del Tribunale di Napoli e richieste dalla Dda di Napoli. I capi di accusa sono di associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, estorsione e altri reati.

Un commento sull’accaduto è giunto anche da Coldiretti Campania che lo ha definito un “duro colpo a chi specula sulla pelle delle imprese agricole”.

Da anni Coldiretti denuncia una forbice eccessiva tra prezzi alla produzione e prezzi al consumo. La gestione monopolistica dei mercati ortofrutticoli da parte di clan camorristici è tra le cause di una compressione del valore fino al punto da non consentire la copertura dei costi di produzione. “Una speculazione – scrive Coldiretti - che vale una differenza del 300 per cento in più dal campo alla tavola. Situazione che colpisce in particolare la Campania, che ha già pagato per altre vessazioni sull'immagine del territorio. L'operazione della Dia è un forte segnale dello Stato con effetti reali sull'economia e sul futuro di questa regione”.

Il business delle agromafie ha generato un volume di affari di 15,4 miliardi nel 2014 secondo il rapporto Coldiretti/Eurispes. I punti più sensibili per le infiltrazioni malavitose sono “costituiti dai servizi di trasporto su gomma dell’ortofrutta da e per i mercati; dalle imprese dell’indotto (estorsioni indirette quali ad esempio l’imposizione di cassette per imballaggio); dalla falsificazione delle tracce di provenienza dell’ortofrutta (come la falsificazione di etichettature: così, prodotti del Nord-Africa vengono spacciati per comunitari); dal livello anomalo di lievitazione dei prezzi per effetto di intermediazioni svolte dai commissionari mediante forme miste di produzione, stoccaggio e commercializzazione, secondo la Direzione Nazionale Antimafia”.

Mettendo le mani sul comparto alimentare le mafie hanno infatti la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio. “Potendo contare costantemente su una larghissima e immediata disponibilità di capitale – continua Coldiretti - e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni ed ai controlli, si muovono con maggiore facilità rispetto all’imprenditoria legale. Per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente”.

“Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano – conclude l’Organizzazione degli imprenditori agricoli - distruggendo la concorrenza ed il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy”.



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