Intervista a Isabella Cozzi: La sanità è sempre più rosa

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Dopo un lunga sosta, riprende la rubrica "Quote rosa", un viaggio alla scoperta delle donne sannite che si sono affermate nel lavoro e della società.
E’ la volta di una donna che riveste nel mondo della sanità sannità un ruolo di primo piano.
Parliamo della dottoressa Isabella Cozzi, proprietaria della Clinica Santa Rita, storica casa di cura di Benevento, nonché Presidente provinciale dell’AIOP e componente della giunta di Confindustria di Benevento.
Si tratta di una donna che ha fatto della sanità una scelta di vita e ad essa si è dedicata cercando di coniugare, non sempre facilmente, tradizione e modernità, accoglienza e tutela della salute.

Chi è Isabella Cozzi?
Sono nata in un’azienda, fondata nel 1958, che all’epoca aveva al suo interno la Clinica di ostetricia e ginecologia. Allora era diretta dal dott. Pascucci che seguì il primo parto avvenuto nella clinica, quello di mio fratello Leonardo, oggi scomparso. Io e la mia famiglia vivevamo in una piccola ala dell’edificio. Posso dire, quindi, di essere nata in clinica in tutti i sensi. Sono laureata in Legge, ho sostenuto anche l’esame per diventare procuratore. Poi, però, mi sono dedicata, insieme a mia madre, alla gestione dell’attività di famiglia.

Che rapporto ha col suo lavoro?
Il rapporto con la Clinica è di odio-amore; quando nasci in un’attività a volte vorresti tagliare i ponti e fare altro. Nel complesso, però, la Clinica per me ed i miei è stata una famiglia. Lo è stata soprattutto per mia madre, rimasta vedova a 42 anni, che qui ha trovato complicità, amicizia e compagnia. Mia madre era milanese, trapiantata in una città in cui era completamente sola, senza legami familiari. 50 anni fa il Sannio era veramente molto indietro rispetto a Milano. Oggi non vedo differenze, anche culturali.
Adesso l’azienda è una famiglia anche per me che non sono sposata.

All’ingresso una targa commemorativa ricorda che nel 2008 sono stati celebrati i 50 anni della Clinica. Qual è il ruolo e la funzione “storica” che ha avuto a Benevento?
La targa di cui parla ricorda un po’ “Villa Celeste” di Sordi, “aria fresca e salubre”. D’altra parte le cliniche sono nate quasi tutte negli anni ’50, nel dopoguerra. Le cliniche hanno avuto una funzione storica in quegli anni in quanto la struttura sanitaria era, all’epoca, molto scadente, molto povera e nell’area del privato c’era questo segmento della sanità scoperto. Poi la politica, con il welfare ed il boom economico, ha pensato bene di costruire o ingrandire gli ospedali che dunque hanno conquistato una centralità nel settore della sanità.
La funzione più storico-sociale ricoperta da questa Clinica è riconducibile alle attività del reparto di Ostetricia e Ginecologia, oggi non più presente per ragioni tecnologiche oltre che economiche. Ai tempi del dott. Pascucci c’erano dagli 800 ai 900 parti all’anno. Questo settore è stato attivo per più di 35 anni il che vuol dire che in una città di oltre 60.000 abitanti, quale Benevento, circa trentamila persone sono nate qua.

Alla luce delle difficoltà economiche, dei tagli alla sanità e delle vicende di cronaca che hanno interessato grandi strutture ospedaliere, c’è un ritorno al privato?
Io credo che sia un più generale problema di onestà o di disonestà, sia nel pubblico che nel privato. Le faccio un esempio: le due Regioni che presentano una situazione di pareggio del bilancio sono l’Emilia Romagna, con una sanità orientata prevalentemente al pubblico e dove l’esperienza delle cliniche o del privato è poco rappresentata, e la Lombardia , dove il sistema privato è fortemente presente. Sono dunque due regioni che hanno raggiunto la parità di bilancio pur con modalità di offerta diverse. Ciò vuol dire che forse non è tanto il problema del pubblico o del privato a determinare un disavanzo, ma piuttosto esso è figlio di sistemi marci che possono coinvolgere tanto il pubblico che il privato.

La più grande soddisfazione e il momento più difficile?
Il momento più difficile lo stiamo vivendo in questi giorni. L’Asl di Benevento è sottodimensionata dal punto di vista dei finanziamenti e quindi, in questo momento, se non verrà finanziata nuovamente non potrà essere pagato tutto il settore accreditato. Da un anno siamo completamente fuori da ogni forma di acconto rispetto a tutto il lavoro svolto. Si può tirare avanti 6, 7 mesi chiedendo finanziamenti anche alle banche che, però, ad un certo punto, vogliono il ritorno. Non era mai successo a Benevento, in cinquanta anni, di avere difficoltà così pesanti da un punto di vista economico-finanziario.
Il momento migliore, invece, è stato il festeggiamento per i cinquanta anni dell’azienda. Forse in quel momento sapevo che prima o poi sarebbe successo un “guaio” come quello che si sta vivendo ora, in un dissesto generale che coinvolge tutto il paese, in un’Italia ormai fortemente compromessa.

Il problema della crisi economica è dunque fortemente condizionante per l’attività che Lei gestisce. Come riesce a fronteggiarlo?
L’azienda è sana ed aveva riserve di liquidità per poter far fronte ai vuoti dei finanziamenti dell’Asl. In questo momento, a detta di due fornitori, l’unica oasi felice sembra essere l’Asl di Avellino. Per il resto è una tragedia, a cominciare dal buco dell’Asl Napoli 1 che risucchia tutte le risorse destinate ad altri. Il sistema campano, si sa, è napolicentrico.

La Regione Campania risulta essere ‘non virtuosa’ e dunque anche penalizzata in tal senso dalle normative…
Non so cosa dire, è una regione che tende al default ed io mi aspetto da un momento all’altro che non pagherà più niente e nessuno. Considerato poi il disavanzo esistente, non so che programmazione si potrà fare.

L’essere donna le è stato di aiuto oppure no nel mondo del lavoro?
Non ho mai vissuto la differenza uomo-donna. A casa mia i “pantaloni” li ha portati mamma per necessità familiari e non l’ho mai vista in difficoltà.

Ma questo “essere donne” anche nel lavoro, è un vantaggio o uno svantaggio?
E’ un vantaggio da un punto di vista sentimentale: le donne hanno un senso di accoglienza e una propensione ad accudire. Forse gli uomini sono più tecnici nella gestione amministrativa e certamente bisogna saper coniugare tutte le esigenze, ma noi donne, l’ho visto con mia madre, abbiamo un fare più materno che è attento, anche nei rapporti con le maestranze, a curare gli umori di chi ti lavora affianco.

Nella sanità è sempre più presente la figura femminile…
Nelle facoltà di medicina abbiamo sei laureate donne su dieci, ma il dato riguarda un po’ tutte le facoltà. Le donne si applicano di più e dunque raggiungono il completamento del corso di laurea con minori casi di fuoricorso.

Maggiori possibilità per le donne nel pubblico. E nel privato?
Anche nel privato ci sono donne di prestigio e rilievo, basti pensare alla presidente di Confindustria Marcegaglia. Forse nel passato la tradizione imponeva che dovesse essere il figlio maschio ad ereditare l’azienda. Oggi non è più così, la regola per la gestione di un’azienda è la capacità.

I pazienti accettano la donna medico o preferiscono l’uomo?
Forse in ambito chirurgico i pazienti continuano a preferire l’uomo perché dà un’idea di decisionismo, di forza fisica. Anche il fatto che gli uomini sono più razionali, meno emotivi, probabilmente consente loro di affrontare meglio le difficoltà, mentre in tutto quello che è il campo della ricerca, le donne sono favorite in quanto più studiose e determinate. Anche il paziente, a questi livelli, non diffida più della donna.

Ma una donna, allora, per affermarsi deve acquisire una mentalità maschile?
No, io ritengo che lo possa fare anche mantenendo la sua sensibilità che le consente di cogliere, meglio degli uomini, i caratteri di chi gli sta di fronte. Insomma parliamo di due facce della stessa medaglia, pregi o difetti sono elementi complementari.

L’8 Marzo?
Non mi è mai piaciuto. E’ una data storica, ma ormai tutte le feste sono solo business.

E’ opportuno parlare di “quote rosa”?
Devo dire che negli ultimi tempi si parla fin troppo del ruolo delle donne, ma in un senso poco accettabile eticamente e socialmente; se seguissimo la cronaca di questi ultimi tempi saremmo portati a sperare che non si parli delle donne; meglio sarebbe parlare delle loro possibilità e abilità nello studio, nel lavoro, nella ricerca, nella società. Invece si parla di donne solo per la loro avvenenza o per le loro abilità amatorie. I tempi sono maturi, in tutto il mondo, per donne di grandi capacità professionali, sociali, politiche, istituzionali, come la Merkel in Germania.

Parliamo di Benevento: la nostra realtà è una società maschilista o ha spazi per l’affermazione delle donne?
Non saprei. Benevento è una città piccola che in tutti i campi, maschile e femminile, non è andata tantissimo avanti. Probabilmente soffre del fatto di trovarsi nell’entroterra per cui manca il confronto. Se rimani in un luogo un po’ chiuso ed hai come unico riferimento Napoli - da cui peraltro sarebbe opportuno prendere le distanze - non cresci. Di professionalità e capacità ce ne sono e si vedono soprattutto nella categoria dei giovani. La mancanza di confronto è il grande limite di Benevento, ma probabilmente lo è di tutte le città di provincia, a meno che non si parli di quelle che ruotano intorno alle metropoli, come accade a Pavia con Milano. Tale tipo di vicinanza determina osmosi e dunque crescita. Benevento si confronta poco, è un piccolo mondo antico. Chi va via dalla città poi riesce ad affermarsi, come è accaduto per Antonio Iavarone, emigrato in America e poi diventato ricercatore di fama internazionale. Chi va fuori riesce a conseguire, con lavoro e sacrificio, ma anche con capacità, determinazione e confronto, risultati significativi.

Cosa vorrebbe proporre alle giovani donne di domani?
Prenderei spunto dalle parole del fratello dell’industriale Ferrero, deceduto a seguito di un incidente, che durante la cerimonia funebre, rivolgendosi al fratello morto ha detto: “tu che credevi in qualcosa in cui oggi credono in pochi e in cui domani non crederà nessuno: l’onestà”. E’ il valore che deve caratterizzare uomini e donne. Se tu sei una persona onesta, con dei buoni principi, sicuramente c’è spazio per migliorare. Mia madre non faceva che insegnarci ad essere onesti, a non fare del male agli altri. Oggi penso che questo tipo di insegnamenti non si diano con la dovuta efficacia.
Eusapia Tarricone



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