Sound&Vision: James Blake - Limit to your love

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In volo notturno, dall’alto verso il basso, nei quartieri di Hoxton e Shoreditch, quelli dell’Est End londinese, quelli dei club più alla moda in questo momento. E lì, tra luci effettate e pareti che trasudano epoche, un accordo di piano profondo e una voce soul e avvolgente: è quella di James Blake.

E’ appena ventiduenne eppure la sua voce densa e matura, che a tratti ricorda Antony Hegarty (Antony and the Johnsons), arriva subito ed evoca immagini e sensazioni vissute ascoltando i cantanti della tradizione rhythm & blues americana. E fin qui potrebbe essere l’ennesima bella voce al servizio del mainstream del momento. Ma il ragazzo londinese, ha avuto l’intelligenza o meglio la sensibilità di coniugare l’anima soul (il suo modo di cantare) con il genere elettronico più in voga nella scena clubbing attuale: il dubstep.

Dopo le intuizioni ritmiche della scena jungle/drum'n'bass (Roni Size con New Forms ne è summa e capolavoro), oggi il dubstep, con le sua varie derivazioni, la fa da padrona. Il genere, nato nel 2004 coniugando bassline, potenti, cupe e molto sintetiche ma “svuotate”, e ritmi provenienti dal dub e dal 2step, ma incattiviti e accelerati nella battuta, ha nella figura di Kode9 (personaggio indiscusso e vero guru della scena) e nell’etichetta Hyperdub il suo punto di riferimento. Tra i generi elettronici più estremi vede la sua vera esplosione nel 2006 quando William Bevan, con il moniker Burial, pubblica il suo primo disco omonimo che eleva il dubstep come il suono di una metropoli (Londra) che trasforma in flussi i pensieri fluttuanti e veloci della città, come beat di ritmo e bassline.

James Blake con il suo album d’esordio (2010) riesce, con una formazione pianistica classica, a coniugare tradizione e sonorità attuali creando il suono più hyped che si possa ascoltare in questo momento; se volessimo confinarlo in un’etichetta si potrebbe parlare di post-dubstep.

Il giovane londinese gioca con pause, aritmie, distorsioni campionate e, non appena si ha la sensazione di essersi finalmente ambientati, si viene sommersi da scariche di ritmi sincopati e bassi (dubstep): in questo contesto è il contributo vocale a condurre le persone lungo l'ascolto, accompagnato sovente dalle note di un pianoforte struggente.

Limit to your love” è il brano che l’ha fatto conoscere al mondo ed è di questi giorni la pubblicazione del nuovo lavoro e attesa prova in Ep (Enough Thunder – ottobre 2011).

Melodia scheletrica, atmosfera rarefatta, il piano che introduce la sua voce sensuale resa bella soprattutto dalla sua modulazione riverberata, una vera dote, e poi i silenzi (altra caratteristica) inframezzati da ritmi dubstep, battuta sincopata e bassline lunga e “svuotata”.

Il brano (una cover della canadese Feist) sebbene si caratterizzi per qualcosa di non già sentito, ha la particolarità di restare in testa e farsi canticchiare (grande pregio).

Tale gusto è rintracciabile anche nella copertina del suo disco: un'istantanea appena sfocata, la sua testa che pare vibrare su se stessa per scrollarsi le posizioni stantie del presente e del passato e proiettarsi nel futuro: è l'estetica a porre i primi indizi sul contenuto, come nella migliore delle tradizioni.

Così come il videoclip affidato al talentuoso filmaker danese Martin de Thurah che ha lavorato con gli Editors (videoclip “Bullets”) ed è soprattutto l’autore di uno dei video più intensi e spettacolari del decennio: “What Else Is There” dei Royksopp (quello della ragazza sospesa che, fluttuando, attraversa diversi paesaggi” - un clip molto visionario e onirico da cercare su youtube). E se per James Blake la musica - fatta di silenzi, pause, vibrazioni improvvise, è “svuotata”, il regista dalla forte formazione pittorica usa una sola location: un appartamento svuotato trasformato in un microcosmo dove gli oggetti quotidiani e gli angoli personali acquistano una loro energia. Il risultato del connubio è un minimalismo pieno di intensità.

James Blake, delicato e malinconico, ha reinventato il soul lungo bassi e schegge di ritmo:

un rivoluzionario anticipatore o un una meteora di questo 2011?

Giovanni Piacquadio


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