Sound&Vision: The Queen is dead

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The Smiths & Derek Jarman - parte II

Poteva esistere, un autore sensibile che traducesse la poesia musicale degli Smiths in poesia filmica?

Ebbene sì. Tale sincronia corrisponde al nome di Derek Jarman. Inglese, artista nel senso più profondo del termine, instancabile sperimentatore, ha rappresentato per la storia del cinema e per quella dell'arte una delle punte più significative dell'espressione visiva del ventesimo secolo. Non basterebbe un’intera monografia a descriverne l’importanza, per quello che è stata, è e sarà la sua influenza nel mondo artistico. Assistere ad una sua opera d’arte visiva (perché tale è) è esperienza che ti catapulta in un mondo parallelo a tutto quello che si è vissuto e percepito finora, rendendo vetuste e scialbe tutte le opere degli altri contemporanei.

I suoi lavori non sono solo un elenco datato, ma ogni sua realizzazione ci stimola e apre la nostra mente ad altri orizzonti. Un esempio - ma solo perché, ahimè, è la sua ultima testimonianza - è “Blu” (1993) realizzato quando l’Aids, ironia della sorte, aveva reso cieco il regista, realizzato solo con una schermata, di colore blu appunto.

La sua composizione cromatica è un omaggio alla pittura di Yves Klein; la colonna sonora (ambient music) è composta da Brian Eno (e chi meglio di lui?); quattro voci fuori campo (tra cui quella di Tilda Swinton, sua musa sullo schermo), volutamente sfasate nei tempi, riflettono la percezione che si ha della vita in situazioni poco positive.

Amaro, duro, potrebbe sembrare un noiosissimo film d’autore, di quelli che, per fare “gli avanguardisti”, sono realizzati con un fermo immagine blu per 76 minuti. E invece no.

Perché Jarman, qui, destruttura il senso del cinema sovvertendone il caposaldo di asservire il parlato al sonoro, creando tensione, una tensione nuova che è la grandezza poetica di questo film e, proprio come in poesia i confini visivi sono annullati e la funzione evocativa può liberarsi in tutta la sua carica, così il cinema di questo autore ci fa entrare in spazi immaginari mai pensati: Poesia Cinematografica.

Oppure, altro esempio, (ma ogni sua opera andrebbe analizzata, sviscerata, vomitata, rigurgitata e ancora triturata per l’emozione vibrante che provoca) è Edward II (tratto dall'omonima tragedia di Christopher Marlowe di cui c’è stata una rappresentazione anche nell’ultima Città Spettacolo di Benevento 2011). E’ la storia dell’amore tra Re Edoardo e l'amante Gaveston che suscita l'ostilità della moglie, dei nobili e degli ecclesiastici.

E’ un film di una bellezza estetica e concettuale di altissimo pregio. Ne sono esempio le scenografie minimaliste e concettuali che fanno da sfondo allo svolgimento dell’opera. Così mentre il suo contemporaneo Peter Greenaway (altro maestro, ma ci ritorneremo) carica di segni, di riferimenti e orpelli i suoi ambienti (vedi la messa in film de “La Tempesta” di Shakespeare), Jarman invece per rappresentare il regno usa solo un trono illuminato dall’alto e pareti e pavimenti polverosi intorno. La luce è la grande protagonista, creando spazi e silenzi come se si vivesse in un quadro del Caravaggio (ha realizzato un lungometraggio anche su questo “rivoluzionario” pittore). Derek Jarman in un articolo di FlashArt (pochi registi hanno avuto l’onore di comparire su una rivista d’arte contemporanea) fu definito proprio il “pittore della luce”: Poesia Pittorica in film.

Per cui, per questa alta valenza artistica, credo abbia fatto bene ad entrambi (The Smiths e Derek Jarman) collaborare sul cortometraggio “The queen is dead”. Ha dato grande pregio a Morrissey fregiarsi di un autore così sopraffino come Derek Jarman.

The queen is dead: three songs by the smiths’ è stato girato in Super 8 (formato amato dal cineasta che dichiarò: “la cinepresa super 8 è sempre libera, la 35 mm è incatenata al denaro delle istituzioni…fanculo giraffa e carrello”) e poi gonfiato in 35 mm. Venne distribuito nelle sale con il film Sid & Nancy (su Sid Vicious, bassista dei Sex Pistols ne abbiamo parlato nella recensione Punk’s not dead).

Per il promo di “The Queen is dead” il regista realizza un clip che si apre con un ragazzino che scrive con spray in cubitale 'la Regina è morta' sui muri di una fabbrica dismessa e prosegue con immagini in rapidissima successione: periferia abitata da figure, bandiere inglesi, e sovrapposizioni di fuochi e forme (tra cui gli immancabili fiori, sua passione).

Il montaggio frenetico, associato al rock incalzante del pezzo, rappresenta al meglio gli 'altri' anni 80 inglesi: non quelli patinati dei New Romantics ma quelli duri della periferia operaia alle prese col declino economico e il Thatcherismo. Così come fa anche un altro grande cineasta “di denuncia” inglese, ma con un altro linguaggio, altrettanto efficace: Ken Loach.

Invece ‘There is a Light that Never Goes Out’ presenta delle immagini in dissolvenza sovrapposte, quasi a voler denunciare il suo amore per la bellezza e la plasticità dell’arte neoclassica (figlio di un importante aviatore inglese visse qualche tempo in Italia la sua infanzia e, come amante del bello, non poteva che amare l’arte del nostro Bel “povero” Paese).

E’ una fortuna che esistano uomini in grado di farci sognare ed emozionare. Derek Jarman è uno di questi.

Giovanni Piacquadio


Video di approfondimento

Edward II
 


Blu

 

The Queen is dead
 



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