Sound&Vision: ‘There Is A Light That Never Goes Out’

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(The Smiths & Derek Jarman) – parte I

Era difficile pensare, nel 1986, che oggi, a distanza di un quarto di secolo, avremmo parlato ancora degli Smiths. La musica, all’epoca, ci arrivava attraverso la nascente arte dei videoclip che stava soppiantando le radio (Video killed the radio star - Buggles ne fu successo, testimone e soprattutto anticipatore).

Nacque così MTV ma, per noi ragazzi di provincia che di questa emittente non ricevevamo il segnale, il riferimento era Deejay Television: tutti alle 14, dopo il liceo, su Italia Uno (quando le televisioni erano una cosa “più” seria). Gran bella trasmissione, ideata dal guru Claudio Cecchetto che ha avuto a battesimo tanti veejay, oggi protagonisti della tv attuale (Amadeus, Gerry Scotti), dell’intrattenimento (Fiorello), della comicità (Leonardo Pieraccioni) e Linus (quello che ha conservato di più lo spirito della trasmissione, titolare oggi di Radio DeeJay). Arrivò dopo Doc su Raidue con Gege Telesforo, Monica Nannini e Renzo Arbore che proponevano musica suonata dal vivo davanti alla telecamere: un altro passo in avanti.

La formazione musicale, di molti di noi, si deve a queste due trasmissioni televisive.
Eppure gli Smiths non arrivarono attraverso i videoclip in prima istanza, ma ci fu uno scambio di cassette duplicate e reduplicate, chissà da chi; difatti la band incideva per la Rough Trade, di difficile distribuzione. Poi dopo con la Sire le cose diventarono più facili anche per chi viveva in provincia e non era costretto ad andare a Napoli da Tattoo a piazzetta Nilo o da Flying Records a Mezzocannone, in un sottoscala, per comprare LP di importazione.

Non si conosceva nulla di quel suono che arrivava dal mangianastri, nessuna copertina, nessuna informazione sul gruppo (non esisteva il web, le riviste di settore non ne parlavano diffusamente né li passava Deejay) solo una manciata di titoli scritti a penna. Titoli che presto diventarono leggenda: This Charming Man, Reel Around the Fountain (i primi ascoltati) ecc…

Gli Smiths erano avvolti da un alone di mistero che contribuì non poco a diffondere il loro nome: c’era un passaparola tra i famelici di musica e non: conosci gli Smiths? Chi sono? Dove li hai sentiti?
Era il periodo nel New Romantic: Spandau Ballet, Duran Duran (senza nulla togliere all’importanza di questi gruppi e alla loro valenza artistica se li si analizza oltre il look ’80. Ma ci ritorneremo), ma gli Smiths erano molto underground, molto alternativi per il mainstream dell’epoca.

Il suono degli Smiths però non era avanguardia musicale, non ricercava nuove strade, nuove alchimie. Era qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che si sentiva in giro in cui l’uso dei sintetizzatori (Roland e Yamaha) e le voci effettate erano in primo piano.

Il sound degli Smiths era composto solo da basso, batteria e chitarra e il tutto risultava anche un po’ antiquato e datato.
Oggi, dopo quella formazione a base di tv e fanzine, possiamo dire che affonda le radici nel suono pop dei ’60 soprattutto per le cesellature della chitarra, fantastica, di Jhonny Marr, con chiari richiami ai Byrds. E poi (ma, forse, in primis) c’era la fascinosa, malinconica e soprattutto bellissima voce di Morrissey. Una voce nasale che riusciva - e riesce ancora adesso - a rapire l’ascoltatore per l’intera durata del brano, accogliendolo, cullandolo e trasportandolo in un altro mondo, tra volteggi continui, salite e discese sulle spalle di Moz (soprannome dato dai fans).

È indiscutibile l'influenza avuta dalla band sul successivo Brit-pop. Senza di loro non sarebbero esistiti Oasis, Radiohead, Blur, Suede, The Verve per citare alcune delle band attuali più influenti. Ma nel tempo abbiamo capito che non è solo il fattore squisitamente musicale che ha reso enormi gli Smiths. Se dapprima era infatti quello della voce e del suono diverso poi, approfondendo e analizzando, ci si è imbattuti in testi che parlavano di “altro”.

In tre minuti, le pop song di Morrissey (suoi i testi) citavano e sdoganavano argomenti tabù fino ad allora nelle “canzonette”. Si sono aperti, così, nuovi orizzonti fatti di letture (Oscar Wilde cha ha ispirato molto Moz e a cui hanno dedicato anche un brano “Oscillate Wildly” il cui titolo è diventato il più famoso anagramma del poeta e scrittore inglese), culture pop (ad esempio Truman Capote nella cover del brano "The Boy with the Thorn in His Side" e Joe Dalessandro nella cover del primo album “The Smiths”), battaglie (il vegetarismo), lacrime solitarie e pensieri in camerette silenziose (come in “Ask”). Per non parlare del fatto che si tratta della prima gay-band dichiarata (scalpore per l’epoca, ma subito passato in secondo piano).

Potevamo scegliere un brano a caso da allegare all’articolo. Non avremmo sbagliato e non sbaglieremmo mai, ma la scelta è ricaduta su “There Is A Light That Never Goes Out” forse per un fatto più affettivo: da adolescenti, con il walkmen o col mangianastri ascoltavamo gli Smiths. Oggi siamo cresciuti, svolgiamo un ruolo nella società che lavora, abbiamo altre idee e pensieri ma “C’è Una Luce Che Non Andrà Mai Via”: è quella degli Smiths.

Giovanni Piacquadio


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